| Domani è l'anniversario del fatidico 10 agosto 1792, propongo un brano di una testimone oculare, Mme de Tourzel (ho tagliato il più possibile, ma anche così è risultato lungo, me ne scuso):
"[….] La Guardia Nazionale fu in piedi tutta la notte, senza ricevere alcun ordine sulla condotta che doveva tenere. Il Re non poteva darne senza la firma dei suoi ministri e quest’ultimi non osarono firmare a causa della loro responsabilità. Il comandante generale, sottomesso alla municipalità, non poteva dare ordini senza essere richiesti da lei e le sorti del Re si trovavano nelle mani di Péthion e di Manuel. Il Re fece alle cinque la rivista della Guardia Nazionale e fu contenta delle disposizioni che annunciava; ma Péthion, totalmente ritornato al fianco dei congiurati e inquieto dei sentimenti che dimostrava, la fece sostituire alle sei da dei battaglioni sui quali poteva contare, e la rivista che fece il Re fu lontana dall’essere soddisfacente. C’erano, tra i nuovi battaglioni, delle persone con le picche che incitavano alla rivolta le guardie nazionali la cui fedeltà non era ben affermata. Si sentivano tra gli altri grida di: “Viva Péthion! Viva la Nazione! Abbasso il traditori e il veto!”. Dei corpi interi di guardie nazionali si misero nelle file dei ribelli, in modo che il Re poteva contare solo sugli Svizzeri, su seicento uomini della guardia nazionale e su circa trecento persone, sia gentiluomini, sia ufficiali della Guardia del Re e servitori di Sua Maestà, armati soltanto di spade e pistole, tutte sinceramente attaccate alla sua persona e vestite in borghese, per non portare alcuna ombra alla Guardia Nazionale.
C’era nella camera del consiglio, davanti la porta della camera del Re, una ventina di granatieri della guardia nazionale, ai quali la Regina indirizzò queste parole: - Signori, tutto quello che avete di più caro, le vostre mogli e i vostri bambini dipendono dalla nostra esistenza, il nostro interesse è comune - . E mostrando la piccola troupe di gentiluomini che occupavano gli appartamenti: - Non dovete diffidare di queste brave persone, che condivideranno i vostri pericoli e che vi difenderanno fino al loro ultimo respiro -. Toccati fino alle lacrime, testimoniarono la loro generosa decisione di morire, se ce ne fosse stato bisogno, per la difesa delle Loro Maestà. Nessuno dormì al castello, tutti erano nei loro appartamenti, aspettando con ansia la conclusione della giornata che si annunciava sotto degli auspici così funesti. La Regina parlava ad ognuno nella maniera più affettuosa e incoraggiava lo zelo che le si dimostrava. Passai la notte, così come mia figlia Pauline, presso Monsignor il Delfino, il cui sonno calmo e pacifico faceva un contrasto sorprendente con l’agitazione che regnava in tutti gli spiriti.
Andai , verso le quattro del mattino , nell’appartamento del Re per sapere cosa succedeva e cosa avevamo da temere o da sperare. – Ho,- mi disse M. d’Hervily- la più brutta opinione di questa giornata; quello che secca in questi casi è di non prendere alcun partito e non si decide nulla -. Si annunciò, verso le sette che gli abitanti del faubourg e l’armata marsigliese si stavano portando verso il castello; che dei commissari scelti dai faziosi di quarantotto sezioni si erano dichiarati consiglio generale del comune; che avevano mandato M. Mandat, comandante della Guardia Nazionale, sotto il pretesto di consultarsi con lui, l’avevano fatto assassinare vicino all’Hotel de Ville, al fine di impadronirsi dell’ordine per iscritto che aveva ricevuto da Péthion di respingere la forza con la forza, e fatto girare la sua testa per Parigi; che Santerre gli fu dato come successore, che lo stato maggiore era rinnovato, e che tutto ciò si faceva in concerto con il comitato di sorveglianza dell’Assemblea, che aveva messo a disposizione più di quattro milioni a disposizione di Santerre per propagare l’insurrezione. […] L’ordine del consiglio di dipartimento e della municipalità inviato alle guardie nazionali di difendere il Re come autorità costituita, fu in tutte le file attraverso i commissari deputati alle Tuileries; ma fece poco effetto su queste guardie rinnovate, che i cannonieri scaricarono e abbandonarono i loro cannoni apprendendo della marcia dei Marsigliesi e dei briganti della capitale. M. d’Hervilly, vedendo l’impossibilità di farne uso per la difesa del Re, li recintò subito, perché non venissero usati contro il castello.
Il Re che aveva già fatto mandare all’Assemblea di inviare una deputazione per imporsi sui briganti, fece loro rinnovare la domanda da M. Joly, ministro della giustizia; ma col pretesto che non era abbastanza numerosa per deliberare, Cambon fece pronunciare l’aggiornamento, malgrado il pericolo che correva il Re e che cresceva ad ogni istante. L’incertezza del la decisione da prendere in un pericolo così imminente sembrò favorevole a Roeder per trascinare il Re a recarsi all’Assemblea nazionale. Entrò da questo principe, seguito da qualche membro del dipartimento e pregando di far ritirare il gran numero di persone che lo circondavano, gli indirizzò queste parole: - Sire, il pericolo è imminente; le autorità costituite sono senza forza e la difesa impossibile. Vostra Maestà e la sua famiglia corrono il più grande pericolo, come tutti coloro che sono nel castello; non ha altra risorsa, per evitare lo spargimento di sangue, di recarsi all’Assemblea -. La Regina, che era a fianco del Re con i suoi figli, fece presente che non si poteva abbandonare tanta brava gente che erano venuti al castello solo per la difesa del Re: - Se vi opponete a questa misura – disse Roederer con un tono severo – risponderete, Madame, della vita del Re e quella dei vostri figli -. Questa povera sventurata principessa tacque e provò un tale rivoltamento che il suo petto e la sua faccia diventarono in un istante a chiazze rosse. Lei fu desolata nel vedere il Re seguire i consigli di un uomo così giustamente sospetto, e sembrava prevedere tutte le sventure che l’attendevano. Roederer lusingò la famiglia reale del successo di questo percorso e del suo pronto ritorno al castello. La Regina, sebbene lontana dal crederci, ripeté queste parole a coloro cui ella era così afflitta nell’abbandonare; e il Re profondamente toccato, si girò verso questa truppa fedele e indirizzò loro solo queste parole : - Signori, vi prego di ritirarvi e di cessare una difesa inutile, non vi è più niente da fare qui, né per voi né per me - .
La costernazione fu generale quando si vide partire il Re per andare all’Assemblea, la Regina lo seguiva, tenendo i suoi figli per mano. Vicino loro c’erano Madame Elisabeth e Mme la principessa di Lamballe, che, come parente delle Loro Maestà , aveva ottenuto di seguirli; ed io ero dietro Monsignor il Delfino. Il Re era accompagnato dai suoi ministri e scortato da un distaccamento della Guardia Nazionale. Lasciai la mia Pauline con la morte nel cuore, pensando ai pericoli a cui andava incontro, e la raccomandai alla buona Principessa di Tarente, che mi promise di non separarsene e di unire la sua sorte alla sua. Attraversammo tristemente le Tuileries per raggiungere l’Assemblea. MM de Poix, d’Hervilly, de Fleurieu, de Bachmann, maggiore degli Svizzeri, il duca di Choiseul, mio figlio e molti altri si misero al seguito di Sua Maestà. Vi fu alla porta un ingombro che fece temere, per un momento, per la vita del Re e della Regina. Si decise allora di aprire loro un passaggio e furono ricevuti alla porta da una deputazione che era stata mandata loro dall’Assemblea. Il Re attraversò la sala accompagnato dai suoi ministri e si mise al fianco del Presidente; e la Regina, i suoi figli e il suo seguito si misero di fronte: - , Vengosignori – disse il Re – per evitare un grande attentato, pensando che io non possa essere più sicuro solo tra di voi-
Vergniaud, che presiedeva in quel momento, gli rispose: - Potete contare, Sire, sulla fermezza dell’Assemblea Nazionale; i suoi membri hanno giurato di morire sostenendo le autorità costituite – Il Re si sedette allora presso il presidente e la famiglia reale si mise in un banco dei ministri, ma sull’osservazione di qualche membro dell’Assemblea, che la Costituzione proibiva una deliberazione in presenza del Re, l’Assemblea decise che il Re e la sua famiglia sarebbero stati messi nella loggia del logografo, dietro la poltrona del presidente. I fedeli servitori di Sua Maestà strapparono subito le barre di questa loggia e comunicarono una parte della giornata con la sventurata famiglia reale.
[…] L’Assemblea fece un decreto per mettere le persone e le proprietà sotto la salvaguardia del popolo, e inviò una deputazione di venticinque dei suoi membri per portare questa dichiarazione. Appena fu partita si sentì il rumore di un cannone e della moschetteria; la deputazione si disperse e una parte rientrò nella sala. Il Re li rassicurò dicendo loro che aveva dato l’ordine di non sparare; ma vedendo entrare delle persone armate nell’assemblea, questa si oppose; dato che in mezzo ai suoi successi, moriva di paura, temendo sempre che si venisse a liberare il Re e fare man bassa dei congiurati.
Arrivarono dei firmatari che deposero che gli Svizzeri li avevano attirati con un segno d’amicizia e avevano fucilato un gran numero di loro: - Noi abbiamo – dissero – messo a fuoco le Tuileries e non lo estingueremo fino a quando la giustizia del popolo sarà soddisfatta. Siamo incaricati di domandarvi ancora una volta la caduta del potere esecutivo; è una giustizia che reclamiamo e che aspettiamo da parte vostra – Il Presidente rispose loro: - L’Assemblea veglia sulla salute dell’impero [?], assicurate il popolo che si occuperà di grandi misure che esigerà la sua salute. – […]
L’insieme di tutte queste voci sediziose , unite al rumore del cannone e della moschetteria, faceva a noi tutti un male spaventoso. Ogni colpo di cannone ci faceva trasalire; il cuore del Re e quello della Regina erano lacerati ; e noi eravamo nel più profondo dolore pensando alla sorte che avevano trovato, forse, coloro che avevamo lasciato alle Tuileries. Il povero piccolo Delfino piangeva, si occupava di quelli che amava e che erano rimasti al castello, si gettò tra le mie braccia e mi abbracciò. Molti deputati ne furono colpiti e la Regina disse loro: - Mio figlio ama teneramente la figlia della sua governante, che è rimasta alle Tuileries , condivide l’inquietudine di sua madre, e quella che proviamo, della sorte di coloro che vi abbiamo lasciato -. […] I pompieri, che si era cercato per estinguere l’incendio alla Tuileries, si dichiararono all’Assemblea che era impossibile se non si inviavano dei commissari per ristabilire l’ordine. […]
Molti fedeli servitori del Re avendo trovato il modo di penetrare nell’Assemblea, si recarono presso questo principe nella loggia del logografo e resero conto a Sua Maestà di quello che era successo alle Tuileries. Ci informarono che le donne ne erano uscite senza alcun incidente, e mio figlio mi assicurò che Pauline era al sicuro. Questa certezza e la sua presenza furono di una grande consolazione per il mio cuore, sebbene fosse ancora profondamente toccato dalla sorte di tante brave persone che erano devote al Re e la famiglia reale. Monsignor il Delfino fu delizioso, in questa occasione, nel sapere la sua cara Pauline fuori pericolo. […] Si venne ad avvertire in quel momento che gli Svizzeri stavano marciando sull’Assemblea, che i federati marciavano loro contro e che si stava per assistere ad un combattimento sanguinoso. L’Assemblea fremette e domandò il Re che una persona che era con lui andasse a parlamentare con loro e domandare loro di rendere le armi. Il presidente propose di dare l’ordine per iscritto e M. d’Hervilly si offrì per adempiere a questo incarico; ma prima di partire, dichiarò che poteva agire solo utilmente sull’ordine e la firma di questo principe. L’Assemblea che fremeva nella possibilità di vedere arrivare gli Svizzeri, si affrettò a presentare al Re dell’inchiostro e della carta affinché desse l’ordine di mettere a basso le armi e di fare tornare gli Svizzeri sui loro passi. […] I Marsigliesi e altri briganti, vedendo gli Svizzeri disarmati, si misero a correre su di loro e questi ultimi si videro costretti a nascondersi e cambiarsi d’abito per non essere vittime del loro furore.[…] I deputati, inquieti di vedere il Re circondato dalle persone che gli erano attaccate, dichiararono che il Re doveva essere vigilato solo dalla Guardia Nazionale e che gli altri dovevano ritirarsi. Il conte Charles de Chabot, che era rimasto in questa guardia in vista di essere utile al Re, andò a prendere subito la sua uniforme e il suo fucile e fece servizio di sentinella alla porta del logografo. Le dimostrazioni di attaccamento che dette a Sua Maestà l’avevano reso sospetto ai faziosi, fu arrestato pochi giorni dopo l’entrata del Re al Tempio e condotto alla prigione dell’Abbaye dove fu uno delle prime vittime della giornata del 2 settembre.
[…] Appena i ministri avevano ascoltato i rimproveri fatti al Re e sui quali l’Assemblea motivava la sospensione della regalità, vollero recarsi alla sbarra dell’Assemblea, per prendersi su di loro tutta la responsabilità della condotta del Re; ma lui lo vietò loro assolutamente dicendo loro: - Voi aumenterete il numero delle vittime senza potermi essere utili, e sarebbe un dolore in più per me. Ritiratevi, ve lo ordino e non ritornate più qui – […] La Regina , desolata dall’essere separata da Monsignor il Delfino e di vederlo tra le mani di una simile assemblea, pregò parecchi deputati , sui quali credeva poter contare, di cercare di parare un colpo che le sarebbe così sensibile. Si rifiutarono tanto più facilmente, che l’Assemblea, che progettava la costituzione di una repubblica, si imbarazzava poco di dare un governatore a Monsignor il Delfino.[…] Si rapportò , con grande soddisfazione del Re, la nomina di un governatore per il principe reale; e questo fu il solo momento di consolazione che provò la famiglia reale in questa spaventosa giornata. Tutte le petizioni erano accompagnate da così tanti decreti, da ingiurie le più atroci verso il Re e la Regina.[…]
Per essere più a portata per sorvegliare il Re e la sua famiglia, l’Assemblea cambiò l’abitazione del Lussemburgo, per l’abitazione del Re e della sua Famiglia, in quella dell’Hotel del ministro della giustizia in Place Vendome; ma questa decisione non fu di lunga durata. Manuel, a nome del Comune di Parigi, venne a presentare all’Assemblea che, essendo incaricata della guardia del Re, proponeva di farli dimorare al Tempio, dove la credeva più al sicuro che altrove. La Regina fremette quando sentì nominare il Tempio e mi disse a bassa voce: - Vedrete che ci metteranno nella torre che ne faranno una vera prigione. Ho sempre avuto un tale orrore per quella torre, che ho pregato mille volte M. il conte d’Artois di farla abbattere, ed era sicuramente un presentimento di tutto quello che avremo a soffrire - e su questo tentai di allontanare da lei una simile idea: - Vedrete se mi sbaglio - . Ripeteva […]
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