Cesare Giardini nel suo
La fine di Luigi XVI e Maria Antonietta ricorda come il Re fosse ancora agli occhi dei rivoluzionari proclamatisi Assemblea Costituente il più adatto a traghettare la Francia verso un governo monarchico-costituzionale, perchè ritenuto non avido di potere, attento alle necessità dei tempi nuovi e mosso da amore per il suo popolo.
Giardini poi cita uno scritto del Sovrano: «Il più vile degli uomini, il più miserabile degli uomini, risale, attraverso una teoria di centoventi gradi al massimo, sino a Noè; e il più grande dei re, l'uomo più potente che la fantasia possa immaginare, foss'anche padrone di tutta la terra, risale come il primo alla stessa sorgente e al medesimo padre; così che, per l'origine primordiale, tutti gli uomini, senza eccezione, sono eguali».
Il problema di Luigi XVI, come del resto il problema della maggior parte degli uomini di potere passati, presenti, ed anche futuri, furono le persone di cui si circondò e che inevitabilmente ne condizionarono la politica.
Nel suo breve saggio utopico (cioè se la storia fosse andata diversamente, se fosse successo questo anziché quello, etc.)
Se Luigi XVI avesse avuto un po' di fermezza, André Maurois parte dalle grandi aspettative che l'intera Francia riversò sul giovane Luigi XVI appena salito al trono succedendo al vegliardo Luigi XV, per guidare il regno verso un futuro radioso e felice. L'ingiusta e complicata organizzazione economica del paese, della quale Maurois dà una vivace descrizione, aveva già provocato agitazioni e persino aperte ribellioni, come quella del Parlamento di Bretagna contro Luigi XV intorno al 1770. Il giovane Luigi XVI salendo al trono si trovava in una posizione invece molto più vantaggiosa: aveva per mentore il conte di Maurepas, che a sua volta aveva alle sue dipendenze un brillante teorico dell'economia e un amministratore pubblico di grande esperienza, Anne-Robert-Jacques Turgot. Quest'ultimo, fatto Ministro delle Finanze, promulgò una serie di riforme per eliminare gli sperperi e l'ingiustizia diffusi nel regno, per diminuire le tasse e distribuire i pesi fiscali più equamente una volta che fossero stati alleggeriti (per farvi un'idea dell'assurdità di certe applicazioni fiscali, vi basta leggere l'articolo di wikipedia sulla Gabella, la tassa sul sale: un ginepraio di obblighi o esenzioni, regolate in modo irragionevole). Maurois sottolinea come il prestigio e l'autorità del giovane Re sarebbero stati più che sufficienti a sostenere Turgot nei suoi tentativi fino al definitivo successo. Ma il ministro dovette scontrarsi con la nobiltà, che da queste riforme sarebbe stata la più colpita nei suoi privilegi, e quando arrivò a chiedere la rimozione del conte di Guines dal suo incarico presso la corte d'Inghilterra per aver abusato del proprio ufficio, segnò la propria condanna: Guines era uno dei favoriti della Regina, della giovane Regina, che con la sua cricca lavorò per screditare Turgot fino a che due anni dopo Luigi XVI chiese le dimissioni del ministro e lo congedò.
Nel suo saggio André Maurois immagina invece che piega avrebbe preso la storia se Luigi XVI avesse creduto di più nell'opera di riforma di Turgot: il Re si sarebbe rifiutato di riconvocare i Parlamenti già sciolti da suo nonno, il ministro avrebbe chiesto: «Sire, datemi cinque anni di dispostismo e la Francia sarà libera»; sarebbero venute la soppressione delle
corvée (1776) e dall'esenzione dall'imposizione fiscale (1780), da qui l'allargamento della base imponibile, la riduzione delle spese della Casa Reale, delle spese militari, etc.; la buona amministrazione così introdotta avrebbe reso possibile trovare prestiti più vantaggiosi presso i banchieri olandesi, che richiedevano interessi più bassi rispetto a quelli usurai dei banchieri francesi, e Turgot sarebbe stato in grado di pagare tutti i conti e persino di rimborsare i titoli di stato. Maurois immagina comunque una fronda dei nobili e della cricca della Regina per sabotare il lavoro del ministro, ma Turgot, richiamando la figura di Carlo I d'Inghilterra e la sua fine sul ceppo (immagine che accompagnerà il Re costantemente nelle sue meditazioni e riflessioni dal periodo della cattività alle Tuileries fino al patibolo), riesce a convincere Luigi XVI a restare fermo sulla sua posizione e ad affrontare a muso duro ogni opposizione, anche quella di Maria Antonietta che, obtorto collo, deve capitolare. Un ulteriore tassello che Maurois aggiunge è il rifiuto netto alla partecipazione della Francia alla causa americana, che avrebbe ugualmente trovato la sua soluzione nella direzione in cui andò nella realtà, salvaguardando le casse dello stato ed allontanando l'immagine della materializzazione del "miglior mondo possibile" su cui aveva dissertato la filosofia illuminista.
Mi permetto qui una riflessione del tutto personale. Evitando quell'intervento dall'altra parte dell'oceano, Luigi XVI avrebbe potuto giocare un ruolo più decisivo e di maggior credito per esempio in due avvenimenti dello scenario europeo.
1. la Guerra di Successione Bavarese. L'Imperatore Giuseppe II, con un accordo personale e segreto, aveva convinto Carlo Teodoro del Palatinato ad uno scambio territoriale: Carlo Teodoro rinunciava alla sua eredità sui territori della Baviera che sarebbero passati all'Austria, la quale gli avrebbe ceduto in cambio i Paesi Bassi Austriaci e (forse) il titolo di "Re di Burgundia"; ma il Re di Prussia, messo a conoscenza del piano ad opera della vedova dell'ultimo sovrano di Baviera e della cognata di Carlo Teodoro, bloccò per ben due volte il progetto (1777 e 1784) dichiarando che stando agli statuti del
Reichstag (la Dieta Imperiale), nessuna variazione territoriale all'interno dell'Impero poteva essere attuata se non con voto unanime di tutta la suddetta Dieta. Giuseppe II, che era da solo in questo progetto, spaventato dall'idea di dover affrontare
da solo una nuova guerra contro un'alleanza di principi tedeschi, abbandonò il suo piano. Ora, con l'appoggio della Francia, l'Austria avrebbe avuto una posizione superiore nei confronti della Prussia che ormai cominciava a vacillare nella sua potenza militare, come si sarebbe visto trent'anni dopo nel confronto con le armate Napoleoniche. Sarebbe quindi nata una nuova entità statale comprendente l'odieno Belgio e l'altrettanto ricca regione del Reno, dal Palatinato giù fino alla Renania Settentrionale-Westfalia, ma soprattutto l'estensione dell'Austria sui territori bavaresi avrebbe creato un nuovo equilibrio all'interno della nazione germanica con uno sviluppo forse diverso del nazionalismo ottocentesco.
2. Crisi austro-olandese (1781-85) [vi rimando all'articolo di wikipedia per una esauriente descrizione
http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_austro-olandese e sulla conseguente "Guerra della marmitta"
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_della_marmitta]. Anche Madame Campan nelle sue memorie ci ricorda come la Regina cercasse di guadagnare Luigi XVI alla causa di Giuseppe II sulla questione perlomeno della libera navigazione del fiume Schelda, dando nuovo slancio all'economia di porti come Gand ed Anversa. La partecipazione della Francia avrebbe di certo fatto risultare vincitore ancora una volta l'Imperatore (o Carlo Teodoro, se si fosse realizzato il progetto sopra esposto), minando in questo modo la potenza economico commerciale dell'Olanda, già compromessa dalla guerra con l'Inghilterra (1780-1784), e dalla forte crisi politica interna (sfociata nella rivoluzione dell'agosto 1786, un violento rivolgimento politico che consentì al partito democratico dei "Patrioti" di mettere in serio pericolo il potere dello statolder Guglielmo V di Orange-Nassau, passata alla storia come
prima rivoluzione batava).
Tornando al tema della discussione dopo questa lunga parentesi ucronica, tutto ciò che nel saggio di André Maurois viene immaginato come opera di modernizzazione di Turgot, si compì nella realta della storia in una notte, quella del 4 agosto 1789, quando l'Assemblea Costituente decretò di abolire immediatamente i diritti feudali, le esenzioni fiscali, la giustizia signorile, le decime, etc.: ma ormai era troppo tardi e non fu fatto, nemmeno in quell'occasione, nel modo corretto, poichè per la verità i nobili non venivano espropriati del tutto dei loro diritti, perché considerati come una proprietà privata.
Se Luigi XVI avesse avuto un po' di fermezza...Non dobbiamo dimenticare tuttavia ciò che Mme Anna ci ha ricordato sopra, o imprese memorabili come quella del porto di Cherbourg, che attraverso un lavoro marino colossale fatto per volontà di Luigi XVI, divenne un porto militare di primo ordine, fra i più muniti di Francia.
La Rivoluzione, dopo lo sconcerto ed il terrore iniziale, la si sarebbe potuta condurre meglio: con il passaggio da rivolta popolare a riforma illuminista come pareva nei primi intenti dell'Assemblea, Luigi XVI si sarebbe potuto ricavare il suo spazio e, circondato dalle persone giuste, oltre che con qualche compromesso (Mirabeau, La Fayette, Dumouriez, Barnave, etc...), avrebbe forse anche potuto condurla, perché di riforme ve ne era bisogno, ed il Re ne era conscio e l'amore dimostrato verso il suo popolo, del quale mai volle versare una goccia di sangue anche quando gli si ribellava contro, ne era un forte esempio. La spaccatura avvenne sugli attacchi alla religione, alla Chiesa, al lento ma impetuoso lavoro di logoramento per scristianizzare la società. Non a caso Luigi XVI esercitò il suo diritto di Veto proprio sui decreti sulla Costituzione Civile del Clero e la conseguente persecuzione e martirizzazione dei refrattari che volevano restare in comunione con Roma. Accettò di perdere il trono, di sedere su una poltrona uguale a quella del Presidente dell'Assemblea, sullo stesso gradino; accetto di controfirmare una Costituzione che lo privava di un qualsiasi potere e peso politico, accettò l'abolizione dell'Ordine del Santo Spirito e dell'ordine di San Luigi, accettò che i deputati restassero seduti davanti a lui mentre pronunciava il suo giuramento sulla costituzione, obbligato
lui a restare in piedi ed a capo scoperto; ma non accetto mai la scristianizzazione del suo paese, e questo divenne il coltello dalla parte del manico per i suoi nemici, per i nemici della monarchia, per condurlo alla totale rovina. Si fugge per andare a Montmédy, ma ci si preoccupa di portare il manto regale perchè il re appaia trionfale davanti alle sue truppe schierate per la celebrazione del Corpus Domini; si viene catturati a Varennes, ma mentre si riportano le prede a Parigi, si partecipa alla funzione ed alla processione del Corpus Domini (a Meaux, se non sbaglio).
Poi la vita di luigi XVI si è scontrata con le meschinità umane, che sono capaci di distruggere anche i più nobili animi. Qui mi viene in aiuto Alexandre Dumas, che nelle sue pagine romanzate ha tuttavia reso vividi e vivaci fatti reali, storie reali, personaggi reali, vissuti in anni a lui ancora così vicini. Il capitolo XIII dell'
Ange Pitou titola «Il Re è così buono, la Regina così buona»; Dumas descrive come con la morte di Luigi XV la Francia tirasse un sospiro di solievo: basta Pompadour, basta Du Barry, basta Parc-aux-Cerfs, basta divertimenti da tre milioni l'anno; il nuovo Re, giovane, filantropo, quasi filosofo, «aveva imparato un mestiere, anzi tre. Era fabbro ferraio, orologiaio e meccanico»; rifiutava favori ai cortigiani, e questi fremevano aspettando solo un evento: nel 1778 Maria Antonietta diventa finalmente madre, acquistando un'influenza maggiore sul Re. «Il Re. che era già un re così buono, un marito così buono, sarebbe diventato anche un buon padre». Nel 1781 il Delfino: «Come rifiutare adesso qualcosa a colei che ha dato un erede alla corona?». Ma il Re è anche fratello, e ripiana i debiti del fratello conte d'Artois. Ma il Re è anche un uomo cortese, forse qui sarebbe meglio intendere come "di Corte".
«Tale è il regno degli uomini cortesi.
Il signor di Calonne, uno degli uomini più cortesi del mondo, è controllore generale; è lui ad aver detto alla Regina: "Mia signora, se è possibile, si fa; se è impossibile, si farà".
A partire da quel giorno in cui questa cortese risposta inizia a circolare nei salotti di Parigi e di Versailles, il libro rosso, che si credeva chiuso, si riapre.
La Regina acquista Saint-Cloud.
Il Re, Rambouillet.
Non è più il Re ad avere dei favoriti, è la Regina.
[...]
Viene proposto di ridurre gli appannaggi dei grandi stipendiari di Corte. Qualcuno si rassegna. Ma un assiduo frequentatore del castello rifiuta ostinatamente di farsi ridurre l'appannaggio; è il signor de Coigny: incontra il Re in un corridoio, gli fa una scenata in mezzo a due porte. Il Re si salva e la sera dice ridendo:
- In verità, credo che, se non avessi ceduto, Coigny m'avrebbe picchiato.
[...]
E poi i destini di un regno dipendono talvolta da piccole cose, dagli speroni d'un paggio, per esempio.
Luigi XV muore; chi succedreà al signor d'Aiguillon?
Re Luigi XVI propende per Machaut. Machaut è uno dei ministri che hanno sorretto il trono vacillante. Mesdames, ossia le zie del Re, sostengono il signor de Maurepas, che è così simpatico e compone canzoni così belle. A Pontchartain ne ha riempito tre volumi, che chiama sue
Memorie.
E' una faccenda di
steeple-chase. Chi arriverà prima, il re e la regina ad Arnouville o Mesdames a Pontchartain?
Il re ha il potere, ha le migliori possibilità di vincere.
S'affretta a scrivere:
Partite all'istante per Parigi. Vi aspetto.Chiude il messaggio in una busta, sulla quale scrive:
Al signor conte de Machaut, Arnouville.Viene chiamato un paggio delle scuderie reali, gli consegnano il regal plico; gli ordinano di partire a spron battuto.
Adesso che il paggio è partito, il Re può ricevere Mesdames.
Mesdames [...] aspettano alla porta dirimpetto che il paggio sia uscito.
Una volta uscito il paggio, Mesdames possono entrare.
Entrano, supplicano il Re in favore del signor de Maurepas - è solo questione di tempo - il Re non vuole opporre un rifiuto a Mesdames.
Assentirà quando il paggio sarà abbastanza lontano perchè non sia raggiunto.
Lotta contro Mesdames, gli occhi rivolti alla pendola - gli basta mezz'ora - la pendola non lo ingannerà, perché è la pendola che regola con le proprie mani.
Cede dopo venti minuti:
- Raggiungete il paggio, dice, e tutto andrà a posto!
Mesdames escono di corsa dalla stanza; saliranno a cavallo, faranno schiattare uno, due, dieci cavalli, ma il paggio sarà raggiunto.
E' inutile, non faranno schiattare nessuno.
Scendendo, il paggio è inciampato in un gradino e ha rotto uno sperone. L'arte di andare ventre a terra con un solo sperone!
D'altra parte, il cavaliere d'Abzac è capo delle scuderie reali e non lascerebbe montare a cavallo un corriere, lui che ispeziona personalmente i corrieri, se quello deve partire in un modo che non faccia onore alle scuderie reali.
Il paggio partirà solo quando avrà due speroni.
Di modo che, invece di raggiungere il paggio sulla strada per Arnouville - mentre corre a spron battuto - lo raggiungono nel cortile del castello.
Era in sella e pronto a partire in una tenuta irreprensibile.
Gli riprendono il plico, lasciano il messaggio che andava bene tanto per l'uno che per l'altro. Ma, invece di scrivere
Al signor de Mauchaur, Arnouville, Mesdames scrivono
Al signor conte de Maurepas, Pontchartain.
L'onore delle scuderie relai era salvo, la monarchia era perduta».
Quante analogie si potrebbero fare con la situazione presente....
À bientôt