Maria Antonietta - Regina di Francia

Ritratto di corte ad Urbino

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elena45
view post Posted on 14/3/2018, 09:06 by: elena45
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Marie-Antoinette

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Riprendo un personaggio succitato: Vittoria Farnese, duchessa di Urbino


Tiziano - Guidobaldo II della Rovere e il figlio Francesco Maria II - Collezione privata.
Scuola di Tiziano - La moglie Vittoria Farnese (1519-1612) - Museo di Budapest.

Può essere ricordata come una delle prime donne imprenditrici d'Italia per l'impulso che dette alla produzione di ceramiche dell'Italia centrale.
Riporto questo articolo di Chiara Giacobelli del 13/03 us in www.huffingtonpost.it/chiara-giacob...ana_a_23383433/

Gradara, settembre 1602 – Il petto si stringeva in una morsa di nostalgia; avrebbe dovuto essere grata alla vita per quello che le aveva regalato, eppure Vittoria non poteva fare a meno di ripensare al passato e a ciò che insieme ad esso era divenuto cenere. Un giorno su tutti le tornava alla memoria: il 26 gennaio del 1548, quando per la prima volta era giunta nel ducato di Urbino per sposare Guidobaldo II della Rovere; poco dopo, lui le aveva fatto dono della meravigliosa rocca che ora si stagliava superba e armoniosa davanti ai suoi occhi.
Quanto l'aveva amata, e quanto aveva amato lui! Guidobaldo, il fratello Alessandro, la madre Gerolama: i suoi affetti più cari se n'erano andati da tempo; persino i figli erano ormai lontani, ciascuno con la propria nobile famiglia, senza considerare i diverbi accesi con il secondogenito Francesco Maria.
Era stato a causa sua se anche l'adorato ducato di Sora e Arce era stato venduto a Giacomo Boncompagni per una somma di circa 120.000 scudi: una scelta di certo oculata in campo economico viste le difficoltà in cui versava Urbino a quel tempo, ma i suoi sentimenti non valevano dunque più nulla? Cosa le restava di quella giovinezza in cui era stata felice, coraggiosa, ardita, energica e innovativa, al punto tale da essere ricordata come una delle prime donne imprenditrici d'Italia?
La rocca di Gradara, una volta sua dolce dimora e cornice di gioiose giornate trascorse tra artisti, artigiani e letterati, era adesso una vista quasi dolorosa per il suo cuore provato e stanco. Non sapeva quanto ancora le sarebbe rimasto da vivere, ma era certa che la parte più bella della sua esistenza si fosse già consumata.
Figlia di un Farnese e di una Orsini, Vittoria proveniva da due stirpi tanto antiche quanto potenti nell'Italia del XVI secolo, ma sin da ragazzina si era ribellata all'idea che il suo futuro venisse programmato a tavolino per il tornaconto di altri.
La madre Gerolama e il fratello Alessandro, poi nominato cardinale, avevano avuto non poco da fare per gestire la sua indole inquieta: nonostante il rispetto che nutriva nei confronti di entrambi, a 27 anni aveva rifiutato tutte le proposte di matrimonio suggeritele dai genitori, cominciando a far girare su di sé la voce maligna che sarebbe rimasta per sempre zitella.
Forse per questo, o forse per qualche impulso inspiegabile che tuttavia si rivelò azzeccato, accettò infine di sposare il duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere, lasciando così sia la famiglia sia le terre di Valentano, del lago e dell'isola Bisentina, a cui era molto legata.
Contro ogni pronostico, la decisione da lei presa si rivelò più giusta di quanto avesse mai potuto immaginare: Guidobaldo non era affatto il genere di marito a cui era stata abituata, avendo come unico modello di riferimento il padre Pier Luigi Farnese, ribattezzato dapprima "il bastardo del papa" perché figlio illegittimo del pontefice Paolo III e in seguito "il diavolo in terra", a causa della violenza e della brutalità con cui stroncava vite e stuprava giovinetti, maschi o femmine che fossero.
Guidobaldo era gentile, colto, un uomo d'armi ma anche d'onore che la amò dal primo giorno della loro unione. Il delizioso borgo di Gradara divenne il suo rifugio preferito quando lui le regalò l'intero castello come pegno del proprio affetto, facendola sentire al pari di una principessa; in breve tempo la loro corte, dislocata tra Urbino, Gradara e Pesaro - dove si spostavano dal Palazzo Ducale alla Villa Imperiale - si arricchì di risate, arte, feste, stimoli di ogni genere, ospitando grazie al suo inarrestabile entusiasmo scrittori del calibro di Torquato Tasso, o musicisti come il fiammingo Meldert e l'intellettuale Ludovico Agostini.
Spinta dal marito a coltivare le proprie passioni, Vittoria poté finalmente dare libero sfogo alle sue velleità di mamma, ma al tempo stesso di imprenditrice. Così, si dedicò con estrema premura ai suoi tre figli, accettando di accogliere in casa anche la piccola Virginia nata dalla precedente moglie di Guidobaldo e la nipote Clelia Farnese, illegittima prole del cardinale Alessandro.
Le era tuttavia facile scappare dalle mura domestiche di tanto in tanto per raggiungere i luoghi che più amava in assoluto, ovvero le botteghe degli artigiani dove, tra forni, pennelli e colori, prendevano vita ceramiche di ineguagliabile bellezza. In quei tocchi di magia, nel sudore della fronte, nel calore sprigionato nell'aria durante la cottura delle maioliche e nella dedizione con cui i mastri tracciavano linee e disegni destinati a durare a lungo nei secoli, Vittoria ritrovava quella genuinità che le era mancata sin dall'infanzia, stretta com'era nei cliché dell'aristocrazia. Soltanto lì poteva finalmente essere se stessa: sperimentare, sporcarsi le mani, inventare, dare libero sfogo alla fantasia.
La storia ci racconta che fu proprio grazie alla sua inventiva se nacquero in quel periodo la rivoluzionaria tecnica di applicazione dell'oro vero prima della cottura, se la tarsia lignea fu sviluppata come mai era accaduto sino ad allora e se la ceramica raggiunse un altissimo livello di qualità testimoniato dalla raffinatezza delle forme e dalla ricchezza delle decorazioni: fiori, animali, stemmi, spirali e ovviamente foglie di quercia, simbolo dei della Rovere.
Ma ancor più importante fu forse la sua volontà, inizialmente incompresa se non quasi osteggiata, di investire in quella che all'epoca poteva definirsi "industria" con i distinguo del caso: in breve, vennero completamente trasformati e potenziati i centri di produzione della ceramica a Faenza, a Urbania, a Pesaro e a Urbino.
Era stato quello il suo passato, una Vittoria ormai sfuggente nei pensieri che le turbinavano in mente in un autunno mite e malinconico. Era riuscita a mantenere la gestione del castello in cui si consumò la tragedia di Paolo e Francesca fino al 1574, anno della morte del marito; aveva dato un contributo importante per sedare la rivolta del popolo a Urbino quando Guidobaldo aveva deciso di spostare la capitale del ducato a Pesaro e molto era stata lodata, imitata, apprezzata dai suoi sudditi, dagli artigiani, dalla gente comune, che in fondo la vedeva come una donna di cui avere stima.
Ma poi tutto era cambiato: la sua luce si era affievolita scontrandosi con il carattere dominante di Francesco Maria, tanto da decidere di lasciare Villa Imperiale per rifugiarsi a Caprarola non appena riuscì a concludere un buon matrimonio per sua figlia Lavinia.
Se adesso si trovava di nuovo lì, dinnanzi a quelle possenti mura che l'avevano accolta e protetta per tanti anni, era solo per stringere a sé un'ultima volta l'intimo ricordo della propria felicità perduta. Sul dito medio brillava lo smeraldo che il fratello le aveva lasciato in eredità alla morte, un barlume di speranza in quel triste grigiore mattutino.
Girò le spalle alla rocca e riprese la strada di casa, quella che l'avrebbe condotta al Monastero della Purificazione da lei stessa fatto erigere per le Monache Serve di Maria qualche anno prima insieme alla vicina Chiesa di San Clemente. Desiderava scomparire dal mondo, svanire nella gioia di Cristo e raggiungere l'unico uomo che l'avesse mai amata davvero.
Vittoria Farnese morì il 13 settembre dello stesso anno e venne sepolta presso la Chiesa di Sant'Ubaldo a Pesaro, accanto alle spoglie di Guidobaldo II della Rovere. Un suo ritratto eseguito da Camilla Guerrieri è oggi ammirabile presso i Musei Civici, mentre diverse sono le ceramiche che ritraggono il giorno del suo matrimonio; altre opere di elevata fattura prodotte dalle botteghe che aiutò a crescere sono attualmente collocate nei principali musei del mondo, tra cui un piatto grande con scena biblica di Giosuè che ferma il sole all'Hermitage di San Pietroburgo. La rocca di Gradara che tanto le fu cara è invece visitabile in uno dei borghi inseriti nella lista dei più belli d'Italia.


Ecco il ritratto citato:

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Camilla Guerrieri (1658) - Ritratto postumo di Vittoria Farnese della Rovere in abito vedovile - Musei civici Pesaro

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Villa Imperiale di Pesaro.

Gradara
La rocca di Gradara, in provincia di Pesaro Urbino. Teatro della storia d'amore di Paolo e Francesca immortalata nella Divina Commedia.

Vedi anche https://books.google.it/books?id=qdUTZ_4kE...0pesaro&f=false

Edited by elena45 - 3/4/2018, 16:44
 
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