Maria Antonietta - Regina di Francia

Il Grand Tour in Italia

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reine Claude
view post Posted on 21/3/2014, 16:57 by: reine Claude
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Arciduca /Arciduchessa

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Non ho letto questo libro, ma mi piace molto il dipinto della copertina, che raffigura un fenomeno caratteristico dei secoli XVII e XVIII: il Grand Tour in Italia.

Già verso la fine del '500 William Cecil, il primo ministro di Elisabetta I, intraprese per primo una politica di sostegno del viaggio all'estero, utile per la formazione dei giovani aristocratici.

Il filosofo Francis Bacon scriveva nel suo "Of Travel" (1625) che "le cose che dovevano essere viste e osservate erano le corti dei principi, specialmente quando davano le udienze agli ambasciatori; le corti di giustizia e il modo in cui veniva amministrata; le chiese e i monasteri; le mura e le fortificazioni delle città, le esercitazioni militari, gli arsenali; le rovine e le antichità, le biblioteche, le case e i giardini.
Oltre a questo, il tutore doveva mostrare al giovane viaggiatore riti quali le feste, i matrimoni, i funerali e le esecuzioni: tali dimostrazioni non andavano dimenticate.
Raccomandava l'utilità di non fermarsi troppo nella stessa città e di informarsi sui nominativi di persone di qualità, prima di spostarsi da un luogo ad un altro in modo da poterne avere i favori nella città successiva.
Ricordava che zuffe e risse andavano accuratamente evitate.
Era buona norma inoltre che il tutore e il ragazzo conoscessero un minimo della lingua parlata nel paese da visitare e che avessero con sè una guida scritta.
Una buona abitudine era che il giovane tenesse un diario, per fissare le cose viste e imparate (delle quali il precettore avrebbe chiesto il resoconto).
Una volta ritornato in patria, il ragazzo avrebbe dovuto mantenere una corrispondenza con le persone che gli erano sembrate più importanti".


Francis Bacon


Non tutti erano favorevoli a questo tipo di esperienza, coloro che erano contrari non mancavano. Lo stesso William Cecil non si era ritenuto troppo soddisfatto del figlio al suo ritorno dal Grand Tour.
Ma nel corso del 1600, il viaggio era diventato pratica consolidata e riconosciuta come positiva per la formazione di un giovane.

Coloro che partivano erano ragazzi di età compresa tra i 16 e i 22 anni, ed erano accompagnati da un precettore.
Col tempo, oltre ai rampolli delle famiglie aristocratiche, si aggiunsero anche quelli dell'emergente borghesia. D'altro canto, la Corona britannica stanziava appositamente una certa somma per incoraggiare questi viaggi d'istruzione.

Il primo ad usare il termine Grand Tour fu Richard Lassels nel suo "An Italian Voyage" (1670). Da questo termine deriva anche il Petit Tour, un giro più breve.
In effetti, la parola tour, giro, è quella che definisce al meglio questo tipo di viaggio che iniziava e finiva nello stesso luogo.
Quanto al termine grand è appropriato perchè, almeno inizialmente, il viaggio durava anche tre anni!
La Francia era il Paese in cui si sostava più a lungo ( 18 mesi contro i 9-10 in Italia) ma a poco a poco fu l'Italia la vera ragione del Grand Tour.
Oltre al fascino esercitato dalla cultura, dal mito del Bel paese, visto come un vero e proprio museo a cielo aperto per la straordinaria quantità di opere d'arte e reperti antichi, gli inglesi e tutti coloro che provenivano dai paesi del Nord Europa erano attratti dal sole, dalla luce, dalla natura dell'Italia.


Veduta di Roma - Gaspar Van Wittel (detto il Vanvitelli)

Il viaggiatore arrivava generalmente a settembre; se per via mare, sbarcava a Marsiglia o a Nizza e quindi entrava in Italia da Genova; se arrivava via terra, dal Moncenisio entrava a Torino. Raggiungeva Firenze (via costiera Genova - Pisa; via interna Torino - Milano - Bologna). poi toccava Siena e Viterbo, quindi arrivava a Roma ai primi di novembre. Qui il soggiorno si protraeva per parecchi mesi, nei primi tempi anche fino ad aprile, in modo da assistere a tutte le celebrazioni del Natale e della Pasqua, per poi proseguire e arrivare ai primi di giugno a Napoli.
In seguito, quando il viaggio durerà meno tempo, la sosta a Roma sarà più breve: passando per Loreto, Ferrara e Padova si arrivava a Venezia a febbraio, per assistere al famoso carnevale. Quindi, attraversando Vicenza e Verona, si ritornava in patria.

I viaggiatori inglesi prediligevano Venezia, mentre i francesi Roma. Qui era sorta, nel 1666 l' Academie de France, fondata da Colbert, e che ospitava per un certo periodo di tempo giovani artisti stranieri in Italia.

Inizialmente, pochi proseguivano oltre Roma avventurandosi più a sud, verso la Sicilia.
Ma, quando nel 1738 si scoprirono i resti sepolti dalla cenere del Vesuvio di Ercolano, e nel 1763 di Pompei, Napoli divenne una tappa obbligata del Grand Tour.
In particolare, i giovani inglesi si riunivano numerosi attorno alla figura dell'ambasciatore inglese e a Sir William Hamilton, esperto vulcanologo e collezionista di reperti archeologici.


Sir William Hamilton - Joshua Reynolds

Fu Carlo III, sollecitato dalla moglie Maria Amalia di Sassonia, a far riprendere i lavori di scavo, che erano stati abbandonati nei primissimi anni del '700.
Carlo III fece anche realizzare delle copie in acqueforti degli splendidi affreschi che venivano alla luce, permettendone la diffusione.





Incisioni raffiguranti i primi scavi di Pompei

Il re era sempre presente agli scavi, per assistere ai rinvenimenti e discuteva con il pittore Camillo Paderni il modo migliore di esporre le singole opere (che venivano riunite nel palazzo di Portici).


Carlo III - Camillo Paderni


A Pompei lavorò anche il pittore Giovanni Battista Casanova, fratello del più noto Giacomo, con il compito di realizzare delle copie delle decorazioni pittoriche rinvenute e di stabilire quali fossero le migliori da trasportare a Napoli.


Giovanni Battista Casanova

Anche Maria Carolina, regina di Napoli, moglie di Ferdinando IV (succeduto al padre Carlo III ritornato in Spagna) volle recarsi a vedere le meravigliose scoperte di cui si parlava in tutta Europa.
Il marito, grezzo com'era, non era minimamente interessato; Carolina, nelle sue prime lettere alla madre, le scrisse della sua scontentezza e Maria Teresa inviò a Napoli il figlio Giuseppe perchè si rendesse conto della situazione.
Visitando gli scavi, l'imperatore si mostrò enormemente interessato.
Riporto un brano tratto dal Diario di scavo di Pompei, datato 7 aprile 1769, (sperando di non andare troppo OT, ma è davvero molto significativo!!):

"L'Imperatore allora richiese a La Vega quanti operai fossero impiegati in quel lavoro ed avendo inteso che erano 30 disse al Re, come permetteva che andasse un'opera tale così languendo. Al che dicendogli che a poco a poco tutto si sarebbe fatto, l'Imperatore soggiunse che questo era un lavoro da mettervisi tremila uomini e che avesse pensato che cosa simile a quella non vi era nell'Europa, nell'Asia, nell'Africa e nell'America e che questa faceva un onore speciale al regno; e richiese al Re chi avesse l'incarico di queste antichità; rispose di essere il marchese Tanucci. La Maestà della Regina dimostrava dispiacere di questo stesso e unitamente faceva premura al Re, che si desse vigore a tale opera" e continuando la visita "l'Imperatore...non cessava di stimolare con le maniere le più forti il Re, perchè facesse di queste cose più pregio..."

Dopo la visita dell'Imperatore Giuseppe II e l'interesse dimostrato soprattutto da Maria Carolina, gli scavi ebbero un nuovo impulso.

Nel 1779 si inaugurò il Museo dove tuttora sono esposti le opere e gli oggetti rinvenuti nei siti archeologici.
"Tutto il mondo era ormai venuto a conoscenza degli splendidi risultati di quegli scavi e ogni letterato o amante di scienze umanistiche veniva ad ammirare le meraviglie di Napoli. Tra questi anche Goethe che fu a Pompei l'11 marzo 1787" nel corso del suo Grand Tour in Italia.
 
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