Maria Antonietta - Regina di Francia

Élisabeth Vigée-Le Brun, La ritrattista ufficiale di Maria Antonietta

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Alexandra81
view post Posted on 4/4/2008, 22:28 by: Alexandra81




Dalle memorie.


'E' nel 1779 che feci il mio primo ritratto della regina, allora in tutto lo splendore della sua giovinezza e della sua bellezza.Maria Antonietta era alta, straordinariamente ben fatta, abbastanza formosa,ma non pingue.Aveva splendide braccia, mani piccole perfettamente conformate, piedi graziosi. Era la donna di Francia dal più bell'incedere: teneva la testa molto alta, con una maestà che faceva riconoscere la sovrana in mezzo a tutta la corte, ma senza che questo nuocesse minimamente a quanto di dolce e di benevolo v'era nel suo aspetto. E' difficilissimo dare un'idea di tanta grazia e di tanta nobiltà a chi non abbia personalmente visto la regina.
I suoi tratti non erano regolari; aveva ereditato dalla sua famiglia quell'ovale lungo e stretto del viso tipico delle sue origini asutriache.I suoi occhi, non grandi, erano quasi azzurri; aveva lo sguardo vivo e dolce, il naso sottile e grazioso, la bocca regolare, nonostante le labbra fossero piuttosto marcate.Ma l'incarnato splendente era la connotazione più straordinaria del suo viso.Non ne ho mai visto uno così luminoso, e dire luminoso è l'unico modo per descriverlo: la sua pelle era infatti così trasparente da non prender l'ombra. Non potevo quindi rendere i contrasti come avrei voluto: mi difettavano i colori per dipingere quella freschezza, quei toni così fini, tipici della sua deliziosa figura, che non ho mai trovato in nessun'altra donna.
All'inizio della prima seduta, l'aspetto solenne della regina mi intimidì, ma Sua Maestà mi parlò con tanta bontà che la benevolenza della sua grazia fugò ben presto ogni timore.Quella volta la ritrassi in un abito di raso con due grandi intelaiature laterali sui fianchi e con in mano una rosa.Il quadro era destinato a suo fratello, l'imperatore Giuseppe II, e la regina me ne comandò due copie: una per l'imperatrice di Russia, l'altra per i suoi appartamenti di Versailles o di Fontainebleau.
le feci diversi altri ritratti.Non so per quale La Harpe scrisse i seguenti versi:

Il cielo donò ai suoi tratti
lo splendore che ammiriamo;
o Francia,Dio la incoronò per la tua felicità.
Inutile lo scettro per sì gran bellezza;
ma una tale virtù meritava un impero


In uno di quei quadri la dipinsi solo sino alle ginocchia, con un abito rosso chiaro, madreperlaceo, davanti a una tavola su cui sta disponendo fiori in un vaso.
Preferivo ritrarla, è ovvio, senza "panieri" sui fianchi. Questi ritratti venivano donati ad amici o ambasciatori.Uno,tra gli altri, la raffigura con un cappello di paglia e con un vestito di mussola bianca, dalle maniche plissettate ma alquanto aderenti; quando il quadro fu esposto al Salon, le malelingue non mancarono di dire che la regina si era fatta dipingere in camicia: eravamo infatti nel 1786, e la calunnia cominciava a colpirla.

La timidezza che all'inizio mi aveva ispirato l'aspetto della regina era scomparsa del tutto per la graziosa bontà che ella mi testimoniava.Quando Sua Maestà sentì dire che avevo una voce graziosa, durante le sedute mi faceva cantare con lei duetti di Grétry, perchè amava immensamente la musica, sebbene non fosse perfettamente intonata. Mi sarebbe difficile descrivere tutta la grazia, tutta l'amabilità della sua conversazione: ritengo che la regina non si sia mai lasciata sfuggire l'occasione di dire una parola gentile a chi aveva l'onore di avvicinarla, e la bontà che sempre mi testimoniò è uno dei miei più dolci ricordi.
Un giorno mi accadde di mancare all'appuntamento che la regina mi aveva fissato per una seduta; ero allora molto avanti nella mia seconda gravidanza e mi ero sentita improvvisamente male. L'indomani mi affrettai i Versailles per chiedere scusa. Entrando nel cortile del castello vidi che la regina non mi aspettava, aveva già fatto attaccare il suo calesse per una passeggiata. Comunque salii per parlare ai valletti di camera. Uno dei due, Campan, mi ricevette freddamente, dicendomi con un tono di collera e con voce stentorea: "Era ieri, Madame, che Sua Maestà l'aspettava;ora è in procinto di fare una passeggiata, e certamente non le concederà una seduta".
Risposi che ero venuta solo a prendere gli ordini di Sua Maestà per un altro giorno. Campan va a comunicarlo alla regina, che mi fa immediatamente entrare in camera sua.Stava finendo la sua toilette, e aveva un libro in mano per far ripetere una lezione a sua figlia, la giovane Madame.Il cuore mi batteva: sapevo di essere nel torto.
La regina si girò verso di me e mi disse dolcemente: "L'ho aspettata tutta la mattina di ieri, cosa le è accaduto?"."Purtroppo stavo male e non ho potuto essere agli ordini di Sua Maestà.Vengo oggi per riceverli, e prenderò subito congedo"."No!Non se ne vada!" riprese la regina "non voglio che lei abbia fatto questo viaggio inutilmente". Dopo aver disdetto il suo calesse, mi concesse una seduta. Ricordo che, nella mia agitazione per tanta bontà, afferrai la mia scatola di colori con tale irruenza che la rovesciai; le mie pennellesse, i miei pennelli caddero sul parquet. Mi chinai per porre rimedio a quel piccolo disatro: "Lasci,lasci," disse la regina "è troppo avanti nella sua gravidanza per chinarsi",e, sebbene io protestassi, raccolse tutto lei stessa.

L'ultima seduta che ebbi con Sua Maestà mi fu concessa al Trianon, dove fissai il suo viso nel grande quadro che la ritrae con i figli. Ricordo che il barone di Breteuil, allora ministro, era presente e per tutto il tempo che durò la posa non smise di dir male di tutte le dame della corte.Doveva ritenermi sorda, per non temere che potessi riferire alle interessate i suoi malevoli guidizi. Ma in verità non dissi nulla, a nessuna di loro, sebbene li ricordassi perfettamente.

Dopo aver dipinto la testa della regina e concluso gli studi sul primo Delfino, su Madame Royale e il duca di Normandia, mi dedicai totalmente a quel quadro, a cui conferivo la massima importanza, e lo finii per il Salon del 1788. Arrivò prima la cornice, e questo bastò per suscitare mille cattive dicerie, che mi vennero riferite e mi fecero presagire critiche durissime. Mandai finalmente il mio quadro; non ebbi però il coraggio di essere presente quando per sapere subito quale sarebbe stata la sua sorte, temendo che il pubblico lo accogliesse male; la mia paura era tale che mi venne la febbre. Andai a chiudermi in camera e stavo lì, pregando Dio per il successo della mia famiglia reale, quando vennero mio fratello e una folla di amici a dirmi che aveva avuto l'unanime favore.
Dopo il Salon, il re fece portare questo quadro a Versailles, e fu Monsieur d'Angevillers, allora ministro delle Belel Arti e direttore degli Edifici reali, che mi presentò Sua Mestà. Luigi XVI ebbe la bontà di intrattenersi con me a lungo, esprimendomi il suo apprezzamento per quel mio lavoro, e aggiunse: "Non me ne intendo di pittura, ma lei me la fa amare". Il mio quadro venne ospitato in una delle sale del palazzo di Versailles, e la regina vi passava davanti andando e tornando dalla messa. Alla morte del Delfino, all'inizio del 1789, quella vista le suscitava un così vivo ricordo di quella perdita crudele e recente che non poteva più attraversare quella sala senza versare lacrime. Allora chiese a Monsieur d'Anevilliers di far togliere quel quadro; ma con la sua abituale gentilezza ebbe cura di dirmelo di persona, spiegandomi la ragione per cui l'aveva fatto spostare. E' dunque alla sensibilità della regina che si deve la conservazione di quel quadro, infatti le megere e i banditi che poco tempo dopo andarono a prendere le Loro Maestà a Versailles l'avrebbero certamente lacerato, così come fecero con il letto della regina...


:wub:
 
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