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| Intervista a Maria Gabriella di Savoia, la figlia di Maria José da Lettera Donna di Elle: «MIA MADRE, LA REGINA DI MAGGIO» di Giovanna Pavesi 110 anni fa nasceva Maria José del Belgio, moglie dell'ultimo Re d'Italia. Una donna disciplinata e coraggiosa, che dopo il referendum seppe «riciclarsi». Intervista alla figlia Maria Gabriella.
Libera e disciplinata. Indipendente ma rispettosa di ogni regola. Troppo contemporanea per i suoi 20 anni. Bella e affascinante. Aggraziata ed estremamente colta, appassionata di musica e sedotta, come il padre, dai paesaggi alpini. Aveva gli occhi chiari e portava nello sguardo gli esiti di decenni di storia, consumati tra i troni della vecchia Europa. Detestava la noia. Maria José del Belgio l’8 gennaio del 1930 sposò Umberto II di Savoia, l’ultimo Re d’Italia. Divenne antifascista. Durante gli anni della guerra, rientrò in Italia, a piedi, dalla Svizzera. La scortarono i partigiani e giunta in Italia la scortò la Resistenza. Con ai piedi un paio di sci salì fino al Gran San Bernardo e da lì scese in Italia, in Val D’Aosta. Al referendum del 2 giugno, nel 1946, votò scheda bianca. La chiamarono Regina di Maggio, perché rimase in carica soltanto un mese. «Quell’epiteto le piaceva: mia madre amava il mese di maggio, il mese delle rose e del loro profumo inebriante», racconta a LetteraDonna la Principessa Maria Gabriella di Savoia a 110 anni dalla nascita di sua madre.
DOMANDA: Principessa Maria, che madre fu Maria José? RISPOSTA: È stata una donna speciale. Io, finalmente, la conobbi nel periodo dell’adolescenza: a circa 11 anni andavo a passare l’estate da mia madre, vicino a Ginevra, e in quella circostanza avevo avuto l’occasione di approfondire il rapporto con lei. Prima avevo ricordi un po’ vaghi. D: In che senso? R: Durante la guerra la vidi piuttosto di rado. Quando partimmo dall’Italia io rimasi con le mie sorelle e mio padre in Portogallo. Mia madre, invece, si trasferì in Svizzera, con mio fratello. Non sopportava il Portogallo. D: Quindi voi siete cresciute con vostro padre. Che tipo era? R: Un uomo affettuoso, amante della storia, come mia madre. Si occupò personalmente della nostra istruzione: siamo state educate in Portogallo, da preti salesiani. Mio padre era molto legato al suo Paese e voleva che passassimo gli esami nel liceo italiano di Madrid. D: Che matrimonio fu il loro? R: Un matrimonio organizzato, ma quando si vedevano si rispettavano molto. Mia madre era stata scelta perché era una delle poche Principesse cattoliche. Furono disuniti nella vita ma uniti nella morte: mia madre questo lo ripeteva sempre. Volle farsi seppellire insieme a lui: riposano insieme ora. Certo, ebbero interessi e mentalità molto diversi: mio padre amava il suo Paese e in Italia, all’epoca, c’era il Fascismo e le donne non potevano avere la possibilità di emanciparsi. D: Che cosa intende? R: La figura femminile, in quegli anni, era solo quella di mamma e di moglie. Mia madre fu una donna molto libera che voleva fuggire da quella cappa soffocante che il regime fascista aveva costruito. Non D: Sappiamo però che, prima della degenerazione del regime, i Savoia apprezzavano l’operato di Benito Mussolini. Che cosa colpiva di un uomo come lui? R: Inizialmente riconobbe che il suo governo si era rivelato utile: mia madre riteneva che, in un periodo di anarchia totale, come era l’Italia (uno Stato giovanissimo), Mussolini riuscì a operare piuttosto bene. Certo, avrebbe dovuto lasciare il potere, quando era il momento, ma lui non volle e divenne, ben presto, megalomane. Una malattia che colpisce tanti capi di Stato. Lei personalmente lo trovava pacchiano: i suoi discorsi erano asfissianti. D: Che cosa intendeva? R: Questa parola deriva dal greco pakis, che significa grosso. Da qui poi l’aggettivo grossolano. Era un uomo volgare e un po’ cafone. D: Cosa contestava sua madre al regime? R: I fascisti avevano soffocato questo Paese. D: Maria José temeva Mussolini? R: No. Lei non aveva paura di niente e di nessuno. Era una donna molto coraggiosa. Anche fisicamente. D: Qualche anno fa, una lettera di Romano Mussolini, indirizzata all’ex vicedirettore del Corriere della Sera (Antonio Terzi, ndr), faceva esplicito riferimento a un legame amoroso e intimo tra sua madre e il duce. Vi parlò mai di questa vicenda? R: No. Questo è completamente falso. Escludo che un personaggio così grossolano potesse avere avuto un flirt con mia madre. Avevo già sentito parlare di questa storia ma, mi creda, non era proprio lontanamente possibile. D: Negli anni della guerra sua madre si schierò dalla parte della Resistenza. Pare che Mussolini ne fosse al corrente ma che non fece nulla per impedire alla Principessa il suo operato. Perché, secondo lei? R: Forse non le impedì nulla, ma la faceva seguire. Lei spesso si recava in Vaticano, perché era amica di Paolo VI (papa Montini, ndr), che all’epoca era cardinale, il quale fu grande amico anche di Mafalda (la sorella di Umberto II, morta nel campo di concentramento di Buchenwald, ndr). Fu un momento molto difficile. Lei sapeva di essere controllata, così attuava qualche strategia per far perdere le sue tracce. D: Ad esempio? R: Entrava in una casa e usciva dall’altra parte, poi prendeva un’altra automobile: così rendeva difficile ogni pedinamento. D: Fu una ribelle? R: No, direi di no. Fu educata da genitori molto severi, non poteva esserci spazio per la ribellione. Era irascibile ma dimenticava tutto molto facilmente. Poi era una donna riflessiva. D: Della guerra parlava spesso? R: Parlava molto dell’Italia. Data la sua passione sconfinata per la musica preferiva parlare di Monteverdi, di Vivaldi, del mondo della musica, oppure della storia antica. Molto meno, invece, di quella contemporanea. D: Secondo lei, perché gli italiani la amarono così tanto? R: Questo bisognerebbe chiederlo a loro. Forse perché era semplice: era una persona molto timida, in fondo, e aveva l’aria riservata. Era un amore reciproco. Lei amava circondarsi di intellettuali e di scrittori italiani, era molto legata a Benedetto Croce. A Napoli visse i momenti più belli della sua vita. D: Principessa, gli italiani apprezzarono molto la figura dei suoi genitori. Molto meno quella di suo nonno. Era perché Umberto II e Maria José non rappresentavano la continuità con casa Savoia? R: Sì questo può essere un aspetto rilevante. Furono una coppia molto seguita, in effetti. Erano entrambi molto belli. È innegabile che incise anche questo. Mio nonno governò per 46 anni della sua vita, quindi è normale che la gente si fosse stancata di lui. D: Eppure scelsero di esiliarla. Quanto soffrì di questo allontanamento? R: Quando partirono, moltissimo. Si sentì sicuramente un po’ persa. D: Crede che sarebbe stata una buona regina? R: Sì, mia madre sarebbe stata un’ottima regina: aveva ricevuto una buona educazione e sapeva essere molto disciplinata. Tuttavia il risultato del referendum non le consentì di provarci. D: Cosa fece Maria José dopo il 1946? R: Io dico che seppe «riciclarsi». D: Cosa intende? R: Si dedicò allo studio della famiglia Savoia e passò il resto della sua vita a scrivere, facendo ricerca negli archivi e molti viaggi. Tornò in Italia dopo parecchi anni. Mi disse, un giorno, che desiderava vedere Urbino, una città che non aveva mai visitato durante i suoi 14 anni di residenza. Quando le chiesi se volesse tornare a Napoli mi rispose di no perché voleva conservare intatto il suo ricordo di quel luogo che portava nel cuore. D: Che nonna è stata la Regina di Maggio? R: Era felice di vedere i suoi nipoti, ma era altrettanto contenta quando se ne andavano, perché i bambini sono sempre un po’ stancanti (ride, ndr). D: Principessa, che cosa non sopportava sua madre? R: Non amava annoiarsi e soprattutto odiava essere obbligata a fare ciò che non le piaceva. D: È stata una donna felice, secondo lei? R: Sì. La fece soffrire il fatto di non restare in Italia. Ma non disse mai niente di più. D: Quando si sentì veramente libera? R: Immagino dopo l’esilio, quando fu finalmente libera di decidere che cosa fare della sua vita. Quando una persona è consorte di un futuro capo di Stato, ovviamente non può scegliere di fare ciò che vuole. Deve essere lì, in rappresentanza, deve fare il suo mestiere, che non è semplice. D: Cosa le manca di più di sua madre? R: Il suo forte senso dell’umorismo. Sa, mi manca molto anche conversare con lei di storia. D: Chi tra i figli le somiglia di più? R: Credo mio fratello Vittorio. D: Che rapporto c’è, oggi, tra voi fratelli? R: Io sono molto vicina a Vittorio: andiamo molto d’accordo in tante cose, in altre meno (sorride, ndr). Abbiamo alti e bassi, ma siamo coetanei e siamo sempre stati uniti: mia sorella Pia era già grande, si sposò a 20 anni. Mi sorella più piccola (Maria Beatrice, ndr) ha avuto, purtroppo, molte sfortune. Personalmente io, come mia madre, amo interessarmi della storia della famiglia Savoia: alla morte di mio padre, infatti, ho creato la fondazione che porta il nome dei miei genitori. Ho raccolto tutto ciò che ho avuto in eredità e l’ho messa a disposizione di chi volesse saperne di più. D: Cosa è rimasto di Maria José? R: L’eredità culturale di una donna che ha saputo rendersi piacevole la vita da sola. È stata una donna serena. Ha vissuto 94 anni e qualche mese in più. Voleva vedere il nuovo millennio e ci è riuscita.
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