Maria Antonietta - Regina di Francia

I decreti di Luigi XVI

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Madamadore
view post Posted on 7/1/2014, 11:49




Bello quest'ultimo intervento.
Passando ai decreti di Luigi XVI, penso che siano la prova del nove, per capire meglio la situazione ma devo dissentire sul paragone con il Regno Unito. E' fuorviante perché:
1. LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM del 1215 non era esattamente un sistema di tutele. All'epoca, gli Stati Nazionali non si erano ancora costituiti ed il potere del re era assai ridotto. La libertà, nel linguaggio medievale, indica il privilegio e, come insegna il successivo episodio d'Otralpe della Fronda, l'autorità del monarca era ben lungi dall'affermarsi. A imporla fu la nobiltà feudale che, appoggiandosi al Parlamento, mirava ad arginare un possibile autoritarismo da parte del sovrano. In questo modo, il sovrano era obbligato a rendere conto a questo organo, formato da nobili, delle decisioni più importanti. Il privilegio spiegato nel documento non è esattamente una costituzione. Indica cosa possono fare le varie parti in termini di potere, una sorta di spartizione di competenze ma non è esattamente una costituzione.
2. ANCHE LA NOBILTA'NON ERA LA STESSA. In Inghilterra, la nobiltà di sangue era stata drasticamente ridimensionata dalla GUERRA DELLE DUE ROSE che aveva ridotto non poco il numero di nobili. Coloro che compenseranno il vuoto appartengono alla piccola nobiltà che, lontana dagli intrighi di potere, aveva una maggior presa sui propri possedimenti e sulla loro produttività. Tutto ciò era di vantaggio anche per il sovrano, che aveva intorno a sé persone meno sensibili ai privilegi feudali.
Luigi XV e soprattutto XVI avevano difficoltà ulteriori.
1 L'aristocrazia francese era di toga e di sangue, nella maggior parte dei casi, ed era sopravvissuta alle Fronde, praticamente senza troppi danni (molti meno rispetto alla realtà inglese). Inoltre, la tattica di Versailles, inventa da Luigi XIV per avere in proprio potere i nobili, tendeva a irrigidirsi tutta sulla dipendenza dai privilegi. I benefici concessi dal re, apparentemente immateriali, comportavano disparità di trattamento che, se da un lato, rendevano innocui i nobili, troppo intenti ad azzannarsi tra sé per ottenere simili misure, dall'altro richiedeva un costo di risorse non indifferente per mantenere in piedi questo sistema tendenzialmente conservativo.
Lontani dalle loro terre, i nobili più ricchi spendevano le loro fortune per alimentare Versailles, preferendo i benefici del sovrano all'applicazione di tecniche agricole più innovative che richiedevano spesso investimenti superiori ai patrimoni in loro possesso, peraltro. La nobiltà di toga, invece, operava in corruzione soprattutto in materia di uffici e cause giudiziare, cosicché era lodata la corruzione perché indicava che il corrotto aveva saputo sfruttare bene il proprio potere.
2Il sistema dei privilegi, comunque, era una peculiarità che non apparteneva solo ai nobili. La stessa Parigi aveva un trattamento di riguardo rispetto alle altre città, dipendendo totalmente dalle campagne che spesso dovevano donare quasi tutti i raccolti per gli approvvigionamenti alla città. Erano queste a pagare completamente ogni tipo di fabbisogno ma Parigi si considerava il centro del mondo...e in parte era così, se lo vediamo come polo di attrazione dei beni di consumo.
L'assenza di politiche agricole e la mancata attenzione alle attività imprenditoriali incise non poco sull'eoconomia, così fragile che bastava una pessima annata per far crollare tutto il sistema.
Luigi XVI ci provò a fare le riforme ma il suo potere assoluto era praticamente sceso ai livelli in cui la monarchia governava ancora l'Ile De France ed era vassalla del monastero vicino. Si ritrovò di fronte vari blocchi:
1. Lo zoccolo duro dell'aristocrazia di sangue e toga che vantava i propri patrimoni esclusivamente sulla base dei privilegi, senza neppure una minima iniziativa imprenditoriale al loro interno. Inoltre, sebbene uniti nel mantenere lo status quo, gli stessi nobili erano divisi al loro interno e quelli che si erano arricchiti con il sistema passato, non volevano cambiare per danneggiarsi e favorire gli altri nobili.
2. La nobiltà di toga, che operava negli uffici, era responsabile della finanza e della giustizia, con casi di corruzione talmente radicati da considerare la nostra Tangentopoli il regno di Polly Pocket.
3. I borghesi volevano avere gli stessi privilegi degli aristocratici e, dopo la graduale chiusura alla possibilità di ottenere il documento di nobiltà, ambivano a quel benessere. Occorre precisare che i borghesi che dettero il via alla rivoluzione erano quelli più ricchi, non certo i ciabattini del vicolo che invece combattevano nelle strade.
4. Le città godevano anch'esse di privilegi feudali, tanto da essere una delle parti in causa nei Primi Stati Generali, ottenendo autorità giurisdizionale. All'epoca però Parigi aveva aumentato il suo potere, surclassando altri centri. Il sistema cittadino, pur attirando visitatori, aveva in fondo sviluppato un rapporto parassitario con il contado che veniva privato quasi completamente delle risorse necessarie alla sopravvivenza.

Le decisioni di Luigi XVI erano abbastanza ragionevoli ma inapplicabili. I suoi interlocutori non avevano nessuna intenzione di scendere a compromessi e, a conti fatti, guardavano tutti al loro orticello (come ora, insomma). Luigi XVI non era un grande politico e non possedeva il fascino irresistibile dei suoi predecessori ma la mancanza di un parlamento e l'impossibilità di temperare le correnti aristocratiche introducendo nuovi elementi di recente nomina a lui fedeli (essendo il sistema ormai atrofizzato) rendeva impossibile qualsiasi misura. Alla fine, essendo ancora più isolato dalla realtà dei nobili stessi, fece la fine di Bersani in campagna elettorale, prima di diventare premier (a proposito, spero che si rimetta). Esisteva il Parlamento di Parigi ma i suoi poteri erano molto limitati alla fine del 1700. Operava in capo giudiziario e amministrativo e finì con l'essere soppresso nel 1771. Non è come quello inglese comunque.
 
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Giacomo Girolamo Casanova
view post Posted on 7/1/2014, 17:40




È evidente che le due realtà sono diverse, volevo semplicemente dire che mi sembra assodato che in Inghilterra esistessero maggiori tutele per tutti rispetto alla Francia. Prova ne sia che Voltaire ebbe seri problemi proprio per l'apprezzamento dimostrato nei confronti del sistema inglese, pesco da wiki:

L'esilio di Voltaire in Gran Bretagna durò tre anni, e questa esperienza influenzò fortemente il suo pensiero. Era attratto dalla monarchia costituzionale in contrasto con la monarchia assoluta francese, e da un maggiore possibilità delle libertà di parola e di religione, e il diritto di habeas corpus.

Non intendevo effettuare una analisi puntuale ma sostenere che c'era un abisso tra le due situazioni. Infatti l'abisso si risolse con una continuità in Inghilterra (infatti la regina è ancora lì) e una rivoluzione in Francia. Non credo che i francesi fossero particolarmente aggressivi, solo che erano costretti in una situazione anacronistica. Con le conseguenze del caso.

Ribadisco ancora una volta che si può cincischiare all'infinito e fare mille sottili distinzioni, peraltro utilissime e molto interessanti ma il punto chiave è economico, nel senso che nel momento in cui i produttori di ricchezza non contano un accidente, alla fine fanno la rivoluzione, più o meno per interposta persona, ricchi a casa e sanculotti in giro. D'altronde a ognuno il suo ruolo, l'intellettuale scrive, il borghese finanzia e il sanculotto va in giro ad accoppare la gente, ci mancherebbe altro...
 
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view post Posted on 8/1/2014, 20:48
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Marie-Antoinette

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Boniface e Madamadore',non conosco i loro veri nomi,hanno spiegato molto bene la situazione.
Citta',province,corporazioni,la Francia era piena di privilegi ed esenzioni fiscali. Pochi deputati degli Stati Generali,per non dire nessuno,conoscevano esattamente il sistema politico inglese. Ignoravano come fosse composto il Parlamento inglese e a cosa servisse.
 
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Madamadore
view post Posted on 8/1/2014, 21:37




Era un esempio unico, in fondo, e inapplicabile alla realtà francese, se devo dire la verità. A parte i teorici illuministi, come Montesquieu che lo individuò come modello ideale di governo, non sapevano come fosse fatto. L'unico modello era il Parlamento di Parigi ma era un'altra cosa.
 
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view post Posted on 9/1/2014, 00:09
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Arciduca /Arciduchessa

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Che discussione e’ nata dall’intervento sulle riforme di Lugi XVI! Davvero interessante.
Ho apprezzato soprattutto i due interventi piu’ elaborati di Boniface e di Madamadore’: grazie.
Secondo me, per quel poco che ho letto finora di Luigi XVI, il re era senz’altro quello che, semplificando, potremmo definire un buono. Anch’io ho fatto la stessa riflessione di Casanova, sull’opportunita’ che il potere sia in mano ad un buono: e’ cinico pensare che i “buoni” siano inadatti a reggere i giochi di potere e di interessi e a uscirne vincitori? Nel mio piccolo, vedo ogni gorno che negli ambienti di lavoro non sono i “buoni” che emergono, tutt’altro.
Ho letto anch’io il libro di Giardini, La fine di Luigi XVI e di Maria Antonietta, e ne e’ uscita confermata la figura di un re buono, preoccupato allo stesso modo per la salvezza della sua famiglia e per l’incolumita’ del suo popolo, fosse anche il popolo ribelle, una persona timida, a volte anche goffa, ma soprattutto priva di fiuto politico, di quella capacita’ di ponderare le proprie azioni e quelle degli altri e di prevederne le conseguenze politiche ed economiche. Mancava di una visione politica, di lungimiranza e, per questo motivo, anche di capacita’ decisionale. La decisione di partecipare alla guerra d’indipendenza americana fu un gravissimo errore, politico ed economico.
Madamadore’ ha descritto secondo me molto bene la situazione in Francia prima dello scoppio della rivoluzione.
Gli unici due interventi che non sono riuscita a mettere a fuoco sono quelli sull’assolutismo come causa della rivoluzione. Li riporto sinteticamente, se poteste chiarirmeli (scusate)
CITAZIONE
Io penso che alla base delle Rivoluzioni ci fosse un principio che aveva retto le monarchie fin dall'inizio: il potere assoluto come diritto divino.
…… In Francia la principale resistenza di Luigi fu il convincimento che il suo potere fosse sacro e inalienabile

CITAZIONE
il potere era assoluto, non temperato da alcuna mediazione. È stato questo che ha condotto alla strage. Come sempre la mancanza, o peggio il rifiuto, di compiere un'evoluzione, produce la crisi violenta.

Ma, nelle prime fasi della rivoluzione, come ricordava qualcuno, Luigi XVI aveva accettato, volente o nolente, una forte limitazione del suo ruolo e dei suoi poteri, nell’ottica di una monarchia costituzionale e non piu’ assoluta. Ma questo non aveva fermato la rivoluzione.
 
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view post Posted on 9/1/2014, 12:26
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Marie-Antoinette

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Spero di non sbagliare,ma credo che la maggior parte degli storici definiscano la monarchia francese assoluta.
Nel senso che,se il Re decideva qualcosa,quel qualcosa diventava legge. E se qualcuno si opponeva,finiva esiliato o alla Bastiglia.
Questa secondo me e' la leggenda. Ci sono stati diversi casi di esilio nei confronti di chi si opponeva al Re,ma erano episodi avvenuti sotto i regni di Luigi XIV o XV.
Se Luigi XVI avesse accettato di cedere parte del potere,avrebbe potuto essere un re costituzionale.
Boniface e Madamadore' hanno chiaramente spiegato che il re accetto' di perdere parte del suo potere,forse con scarso entusiasmo,ma a mio giudizio non perche' fosse particolarmente ambizioso.
Si stava rendendo conto,che se voleva salvare la monarchia e la. Sua famiglia doveva cedere. Quando il popolo voleva qualcosa brandiva la picca,tagliava qualche testa e il re cedeva.
Vi sembra un comportamento da tiranno assoluto,da desposta assetato di sangue?
La sua coscienza cristiana non gli permetteva di accettare la Costituzione civile del clero,e i rivoluzionari dipinsero il re come un nemico della nazione e della costituzione.
E fu perduto.
 
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Boniface
view post Posted on 9/1/2014, 15:49




La situazione nella civilissima Inghilterra del 1700 non era così rose e fiori come possiamo immaginare, fuorviati dall'immagine moderna che abbiamo di questo paese.
Benché all'epoca fosse l'unica monarchia di stampo parlamentare, non era poi così diversa dalla monarchia spagnola che doveva comunque confrontarsi e talvolta scontarsi con le Cortes (i parlamenti delle antiche autonomie statali della penisola, Castiglia, Aragona, Navarra,...) o quella di Francia con i vari “parlamenti” (per esempio il Parlement de Bretagne, il Parlement de Paris , etc...), che erano delle cour de justice, ma che vantavano delle prerogative legislative su cui facevano leva per difendere le prerogative delle varie province di confine nei confronti del potere centrale, da quella svedese in cui il potere del Re era fortemente limitato e strettamente codificato dal Konungabalk (codice legale non dissimile dalla Magna Charta) rimosso solo nel 1734.
La figura del Sovrano era ben diversa da quella attuale della Regina Elisabetta II che “regna ma non governa”.

george
The Memorial to George III in Weymouth, erected in 1810

La salita al trono del tedesco Giorgio I d'Hannover, che non parlava inglese, che non amava l'Inghilterra preferendo risiedere più frequentemente nei suoi domini germanici e che si era ritrovato sulla testa la corona britannica più che altro perché di fede protestante (L'Act of Settlement del 1701), aprì la strada alla concezione moderna di monarchia costituzionale.
Robert Walpole, leader dei whigs, nel suo ventennio ministeriale (1721-1742) più o meno inconsapevolmente apportò una modifica del sistema governativo: in pratica Walpole, Primo Ministro, presiedeva una riunione di ministri parlamentari da lui scelti, appoggiati dalla Camera dei Comuni e reciprocamente responsabili delle loro decisioni. Quindi una volta definita una linea politica comune riferiva al re Giorgio I. Nacque così una sorta di esecutivo responsabile e unito che aumentava il peso del Parlamento nella direzione del paese e che divenne l'elemento caratterizzante della struttura governativa inglese fino ai nostri tempi. Certo neppure Walpole si sottrasse al clima politico clientelare che sarebbe stato ancora presente nel paese per più di un secolo.
Nella seconda metà del 1700 Giorgio III appariva chiaramente come un sovrano che voleva restaurare una monarchia autoritaria senza alterare la costituzione; la sua politica forte però fu osteggiata dal Parlamento e in diversi casi suscitò tumulti.
Il Primo Ministro William Pitt il Vecchio nel 1761 dovette dimettersi a causa del disaccordo con il Re sulla conduzione delle operazioni militari nella guerra dei sette anni.
L'atteggiamento intransigente di Giorgio III nei confronti delle richieste di autonomia avanzate dalle colonie nordamericane fu all’origine della guerra d’indipendenza. Fu solo per effetto della sconfitta (e del manifestarsi nel 1789 dei primi sintomi della malattia/follia del Re che avrebbe portato alla Reggenza nel primo ventennio del 1800) che il sovrano cominciò a ritirarsi dalla scena politica, e con il nuovo governo di William Pitt il giovane (1783) il quale si impegnò nel tentativo di riformare le regole del Parlamento, iniziò una nuova fase politica con la preponderanza del potere parlamentare.
Giorgio III amava o detestava i suoi primi ministri, e non lesinava la sua ingerenza nel cercare di “guidare” o “indirizzare” le varie elezioni parlamentari e le nomine dei primi ministri che si svolsero durante il suo regno, sulla base della propria interpretazione dell'umore popolare
Né lesinò ingerenze su ciò che si legiferava in Parlamento.
Citiamo ad esempio il caso della British East India Company.
L'istituzione della Compagnia delle Indie Orientali era nata come impresa commerciale privata, ma divenne per volontà del Parlamento un ente semi ufficiale del governo britannico; nel 1773, semplificando di molto le cose, la situazione gestionale era pessima, turbata dal malaffare e dalla corruzione, ed anche la situazione economica era disastrosa. La coalizione governativa guidata da Charles James Fox (Whig) e Lord Frederick North (Tory) propose la nazionalizzazione della Compagnia trasferendone il potere politico ad una commissione parlamentare.
Giorgio III, che nella Compagnia aveva investito ingenti somme di denaro oltre che un certo peso amministrativo, si oppose risolutamente al decreto che il Governo del Primo Ministro del Duca di Portland (nel quale Fox e North erano ministri) presentò per concretizzare questo progetto di nazionalizzazione (The Regulating Act of 1773).
Il Re fece allora sapere tramite Lord Nugent-Temple-Grenville marchese di Buckingham alla la Camera dei Lords che egli avrebbe punito severamente quanti avrebbero votato a favore.
La Camera bocciò il decreto.
Comportamento molto da “re che regna e non governa”.
Tre giorni più tardi il Duca di Portland rassegnò le dimissioni. William Pitt il Giovane fu nominato Primo Ministro con Lord Nugent-Temple-Grenville come suo Segretario di Stato per compiacere (e placare!) il Re. Ma il 17 dicembre 1783 il Parlamento votò a favore di una mozione che condannava l'ingerenza del monarca sulle votazioni parlamentari come "alto crimine" e Lord Temple venne costretto a dimettersi.

À bientôt.

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Portrait of George III in Robes of State, figure from Museum of Ventura County Collection
 
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Boniface
view post Posted on 9/1/2014, 18:14




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Regalia used for the funerals of King Louis XVIII of France in 1824

L'aspetto divino della monarchia e quello sacerdotale del re è argomento molto ampio e ricco, che affonda le sue origini nell'antichità della storia dell'uomo.
Per restringere un po' il campo e avere un'idea di che cosa si intendesse per “monarca per diritto divino” si può considerare l'argomento del tocco degli scrofolosi trattato da Marc Bloch nel suo straordinario saggio I re taumaturghi.
Vi è una premessa importantissima che Bloch fa, e cioè che l'uomo moderno, l'uomo del pensiero post-illuminista, non può comprendere la sacralità che i nostri avi riconoscevano al potere monarchico, come promanazione del potere di Dio.
«Il modo di agire e di sentire della maggioranza dei Francesi al tempo di Luigi XIV, in campo politico, ha per noi un che di sorprendente e anche emozionante, come pure quello di una parte dell'opinione inglese sotto gli Stuart. Noi non riusciamo a comprendere l'idolatria di cui erano fatti oggetto la monarchia e i re e stentiamo a non interpretarla severamente, come effetto di chissà quale bassezza servile. Questa difficoltà di penetrare, su un punto così importante, la mentalità di un'epoca che la tradizione letteraria ci rende molto familiare dipende forse dal fatto che noi troppo spesso ne studiamo le concezioni sull'arte di governo soltanto nei suoi grandi teorici.
L'assolutismo è una specie di religione: ora, conoscere una religione esclusivamente attraverso i suoi teologi non significa forse ignorarne sempre le scaturigini? Questo metodo, in particolare, è tanto più dannoso in quanto quei grandi dottrinari troppo spesso danno soltanto una specie di travestimento del pensiero o della sensibilità dei loro tempi
».

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Luigi XIV di Francia ritratto mentre adempie al rito della Taumaturgia

La sacralità del sovrano veniva dalla sua cerimonia di consacrazione. Consacrazione, come si consacrano i sacerdoti per poter celebrare ed amministrare il Sacrificio Eucaristico.
La moderna concezione del potere monarchico ha cancellato totalmente questo aspetto, che sopravvive solamente nella millenaria monarchia inglese. Piccola nota fuori tema: diverse volte si è sentito parlare di una eventuale abdicazione di Elisabetta II, fatto mai avvenuto, proprio perché la regina riconoscendo il carattere sacramentale della sua consacrazione ed incoronazione, che è un patto suggellato con Dio, abdicando commetterebbe spergiuro e tradirebbe il giuramento di fedeltà al suo popolo. Persino nel film The Queen questo importante passaggio viene ricordato in un dialogo tra le regina e la regina madre, che le ricorda appunto di essere stata consacrata per essere regina. Così come nella Chiesa Cattolica, il sacerdote ordinato e consacrato resta sacerdos in æternum , anche se dovesse essere ridotto allo stato laicale. Chi porta come esempio l'abdicazione di Edoardo VIII per sposare Wallis, dovrebbe ricordare che il re non era stato ancora incoronato, quindi libero dal vincolo del giuramento che si presta nella cerimonia di consacrazione, e quindi nella possibilità di rinunciare al trono.
Ma torniamo sui binari del nostro argomento.
Il re veniva consacrato con l'unzione con l'olio santo conservato nella sacra ampolla, così come il sacerdote viene consacrato con il Sacro Crisma durante l'ordinazione. E mentre il sacerdote riceve il calice e la patena per celebrare il Santo Rito Eucaristico, il sovrano riceveva lo scettro e il globo (regalìa) con i quali amministrava il suo potere su quella porzione del Regno di Dio sulla Terra che Dio Stesso gli aveva concesso di amministrare.
Persino il vestiario per l'incoronazione, che ancora possiamo vedere durante la cerimonia inglese, riprendeva il vestiario utilizzato dai sacerdoti per celebrare le funzioni: il sovrano indossa il camice, la dalmatica (come i diaconi della Chiesa Cattolica), la stola (come i sacerdoti), calze, scarpe e guanti/chiroteche (come i vescovi) ed il manto regale non era altro che una rappresentazione del piviale usato nelle celebrazioni liturgiche.
Sempre Bloch scrive: «Il carattere sacro dei re, tante volte affermato dagli scrittori del medioevo, resta ancora nei tempi moderni una verità evidente incessantemente messa in luce [si dovrebbe citare un numero enorme di testi, ma sarà sufficiente ricordare che Bossuet...]. E così pure, ma in modo meno unanime, il loro carattere quasi sacerdotale.»
Nel suo saggio l'autore continua poi ricordando come nessuna epoca ha accentuato più nettamente del XVII secolo la natura quasi divina dell'istituzione regale ed anche della persona del re.
Giacomo I d'Inghilterra, protestante, diceva al principe ereditario: «Dunque, figlio mio, prima di tutto imparate a conoscere e ad amare Dio, verso il quale avete un duplice obbligo: prima perché Egli vi ha fatto uomo, poi perché Egli ha fatto di voi un piccolo dio, chiamato ad assidersi sul trono e a regnare sugli uomini».
Il potere taumaturgico del Re che si manifestava nel tocco degli scrofolosi voleva essere la manifestazione concreta di questa congiunzione del sovrano direttamente con Dio.
«Nella monarchia francese del secolo XVII, il tocco delle scrofole ha definitivamente preso posto tra le pompe solenni di cui si circonda lo splendore del sovrano. Luigi XIII e Luigi XIV lo compiono regolarmente nelle grandi feste, Pasqua, Pentecoste, Natale o Capo d'Anno, talvolta la Candelora, la Trinità, l'Assunta, Ognissanti [all'epoca ci si accostava alla comunione con il Santissimo Sacramento in occasione di queste grandi feste, dal più semplice degli uomini al più grande sovrano. Il Re quindi faceva la comunione alla Messa della vigilia per essere in stato di grazia il giorno della festa per effettuare il tocco]».
Poi accadde quello che più recentemente è successo nella Chiesa Cattolica con il Concilio Vaticano II. Annullato il mistero, svuotati i riti, abbandonata la “teatralità” che poteva accompagnarli in nome di un insulso razionalismo, ecco che non vi era più nessuna ragione per credere nel divino, non vi era più nessuna attrattiva che portasse l'uomo a cercare un Dio nel quale neppure i suoi stessi ministri sembravano credere più.
Luigi XIV con l'etichetta che aveva imposto a Versailles aveva prolungato quell'aspetto divino della sua figura nella vita quotidiana: egli era il Sole, che si alzava al mattino e tramontava la sera ogni giorno della storia di Francia. Anche il più ricco ed importante dei nobili tremava solamente incontrando lo sguardo del Re, ed ecco che la “teatralità” dell'etichetta aveva creato l'alone divino intorno a lui.
La Reggenza prima, e lo stesso comportamento di Luigi XV poi cominciarono a svuotare l'etichetta della sua funzione. Il Re ora appariva più come un “uomo”, dedito ai piaceri come un uomo, peccaminoso come un uomo, ed a questo si aggiungeva il nuovo pensiero razionale ed illuminista che spesso veniva adottato dagli stessi sovrani. Luigi XVI e Maria Antonietta portarono a compimento la fine della sacralità della figura regale: la scelta di condurre una doppia vita, quella pubblica regolata dall'etichetta, e quella privata più di stampo borghese, dedita agli affetti della famiglia, fecero perdere credibilità al Re. Con Luigi XIV un semplice duca di Coigny non si sarebbe mai sognato di sequestrarlo tra due porte e redarguirlo a gran voce per non perdere i propri appannaggi a corte, o nessun semplice cittadino si sarebbe mai sognato di imporre al Re Sole di indossare il berretto frigio dei rivoluzionari e di brindare alla Nazione. E la gente vedendo la doppia vita dei sovrani, non poteva fare a meno di paragonarli a degli attori che recitavano sul palcoscenico del ruolo pubblico, ma che nella loro intimità erano come tutti gli altri uomini, né più né meno.
Luigi XV compì il tocco degli scrofolosi il 29 ottobre 1722, il giorno dopo la consacrazione a Reims.
Ma fu proprio il comportamento di questo sovrano a segnare la decadenza del prestigio monarchico, il suo aspetto di sacralità, coadiuvato dal pensiero illuminista che stava ormai disincantando gli uomini, dai più fini pensatori ai filosofi all'uomo comune agli stessi sovrani.
Luigi XV, che era un libertino, donnaiolo, non certo un campione di principi morali, per diversi anni si vide vietato l'accesso alla Comunione dal suo confessore (1739, 1740, 1744, etc.), non potendo quindi celebrare i riti che riaffermavano l'aspetto sacrale e sacerdotale del potere regio. Suscitando di conseguenza grande scandalo e ferendo il popolo, un popolo di buoni cristiani, che vedeva tutta la loro vita scandita e guidata dai principi e dalle norme cristiane.
Luigi XVI compì il rito di guarigione degli scrofolosi dal giorno della sua consacrazione il 17 novembre 1775 fino almeno al 1789: «Venne certamente il momento in cui Luigi XVI dovette rinunciare all'esercizio del dono meraviglioso, come a tutto ciò che ricordava il diritto divino. Quando avvenne, sotto questo re, l'ultimo tocco? Non ho potuto scoprirlo. Posso soltanto segnalare ai ricercatori quel problemino curioso: risolverlo, si preciserebbe abbastanza esattamente la data in cui l'antica monarchia sacra non fu più sopportabile all'opinione».
Se non vi è più mistero, non vi è più fede. Se non vi è fede, inutili diventano i riti. Se inutili sono i riti, altrettanto inutili sono i ministri che li celebrano, che perdono il loro aspetto sacrale e sono ridotti ad un mero niente comune in mezzo ad un mondo di niente.

À bientôt.

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Regalìa creati per la celebrazione funebre per la traslazione dei resti di Luigi XVI e Maria Antonietta nella cripta reale di Saint-Denis nel 1815, in parte riutilizzati per i funerali di Luigi XVIII e per la cerimonia dell'incoronazione di Carlo X

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Particolare dell'Incoronazione a Reims di Carlo X del 29 maggio 1825, opera di François Gerard
 
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Giacomo Girolamo Casanova
view post Posted on 9/1/2014, 18:28




CITAZIONE (Maria Clotilde @ 9/1/2014, 00:09) 
Li riporto sinteticamente, se poteste chiarirmeli (scusate)
CITAZIONE
Io penso che alla base delle Rivoluzioni ci fosse un principio che aveva retto le monarchie fin dall'inizio: il potere assoluto come diritto divino.
…… In Francia la principale resistenza di Luigi fu il convincimento che il suo potere fosse sacro e inalienabile

CITAZIONE
il potere era assoluto, non temperato da alcuna mediazione. È stato questo che ha condotto alla strage. Come sempre la mancanza, o peggio il rifiuto, di compiere un'evoluzione, produce la crisi violenta.

Ma, nelle prime fasi della rivoluzione, come ricordava qualcuno, Luigi XVI aveva accettato, volente o nolente, una forte limitazione del suo ruolo e dei suoi poteri, nell’ottica di una monarchia costituzionale e non piu’ assoluta. Ma questo non aveva fermato la rivoluzione.

Chiarisco la mia: quando un processo complesso come una rivoluzione si attiva, non sono certo i rimedi tardivi che lo possono fermare. Per una serie di motivi, innanzitutto quello che c'è un'inerzia di sistema, nel senso che non si può fermare all'istante né un corpo solido né parimenti un movimento ormai strutturato e dotato di una sua autonomia decisionale, a prescindere da ciò che avviene intorno.

Diciamo che se il re avesse fatto le concessioni prima che il movimento si attivasse, probabilmente la faccenda si sarebbe, almeno temporaneamente, risolta. Dopo, una volta che i protagonisti si erano resi conto della forza del movimento, hanno immediatamente spostato gli obbiettivi, per ovvia considerazione strategica perché se l'obbiettivo originario era avanzare di un chilometro e il nemico arretra di dieci quest'ultima sarà la nuova misura conquistabile.

C'è un ulteriore considerazione da fare: nel momento in cui il re "concede" (e già la parola spiega molto) perché costretto, nessuno si fida più perché tutti pensano che superata la crisi e arroccatosi, toglierà appena possibile ciò che ha "concesso".
Ho molto semplificato perché la rivoluzione è stata un processo lunghissimo con l'avvicendarsi di varie correnti più o meno estremiste. Fu così anche nel nostro Risorgimento: le anime erano diversissime eppure alla fine la proverbiale litigiosità degli italiani fu in qualche maniera superata.

Correttissima l'altra considerazione sul diritto divino, infatti la questione si evolve affiancando ad esso la volontà del popolo e poi, quando il concetto diventa storicamente anacronistico e nessuno ci crede più, rimane solo la volontà del popolo.

La religione come "instrumentum regni" (Machiavelli ed altri prima di lui), da Costantino in poi, funziona finché la gente ci crede poi a un bel momento crolla. Sfortunatamente anche ai tempi nostri, in alcuni paesi, la questione è ancora in piedi e nessuno si stupisce che al potere ci siano dei religiosi che applicano la sharia. Speriamo che la cosa anche in quei paesi subisca la necessaria e logica evoluzione. Ma non ne sono tanto convinto purtroppo.
 
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view post Posted on 9/1/2014, 19:08
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Marie-Antoinette

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Giuste considerazioni Adriano,ma tu pensi come un uomo moderno.
Ho letto molto sulla rivoluzione,credo quasi tutti gli autori piu'importanti e sono arrivata ad una conclusione. Personalissima si intende. Erano ben pochi a credere ancora in Dio,forse il solo che ci credesse veramente era proprio Luigi XVI,quindi,almeno nell'aristocrazia e nel clero stesso,nessuno credeva che il Re fosse sul trono perche' lo voleva Dio.
Per il popolo era diverso,anche se la religione era cambiata rispetto alla religione medioevale.
Ora mi chiedo davvero il popolo nel 1774 credeva che il re fosse li' per volonta' divina?
 
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view post Posted on 9/1/2014, 22:40
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Arciduca /Arciduchessa

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Vi ringrazio per i vostri interventi, per gli approfgondimenti, per i chiarimenti. Continuo a scrivere perche' questo argomento mi interessa molto ma non sono ancora giunta ad una mia opinione personale di cui essere convinta. Quindi perdonatemi se sbaglio e scrivo cavolate ma il dialogo e il confronto con chi ne sa molto di piu' di me mi e' utilissimo.
Fatico a credere che la rivoluzione francese sia scaturita perche' Luigi XVI era un sovrano assoluto e perche' era re per grazia di Dio. Piu' prosaicamente, i parigini morivano di fame per la carestia e la poverta' (carestia a sua volta causata da un sistema economico nazionale inadeguato) e le nuove classi sociali emergenti volevano lo stesso potere e gli stessi privilegi riservati ai nobili. Se le condizioni di vita fossero state dignitose per tutti e se l'ascensore sociale avesse funzionato a dovere, pur con un monarca assoluto e divino, ci sarebbe stata la rivoluzione?
Troppo semplicistico?
 
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view post Posted on 9/1/2014, 23:19
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Marie-Antoinette

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Direi di no,semplicemente i poveri volevano star meglio e i borghesi volevano essere nobili.
Molti faranno un salto sulla sedia,ma io penso che tutti i discorsi e i bei principi fossero semplicemente aria fritta. Se si analizza attentamente la situazione del cittadino nel 1778 con quella dello stesso cittadino nel 1795,quale cambiamento epocale si riscontra nella sua vita?
L'aspettativa di vita era aumentata,quasi tutti i rivoluzionari avevano tra i 30 e i 40 anni,non avevano possibilita' di lavoro perche' non c'era stato uno scambio generazionale e perche',questo era un grande errore,le cariche si acquistavano non si meritavano.
Per quanto riguarda il semplice contadino,non era invogliato a lavorare di piu',a produrre di piu',perche' gli esattori li avrebbero tassati di piu'.
Molta terra,davvero tanta,era incolta per questo motivo. Ma il denaro delle tasse non arrivava tutto nelle casse del re. Si perdeva per strada,per incompetenza degli esattori o per ruberie varie.
Cito un semplice caso di un piccolo villaggio nel nord della Francia. Il duca,il cui villaggio faceva parte delle sue terre,voleva far costruire delle nuove case con dei tetti in pietra. Sarebbero state piu' sicure,calde e accoglienti. Gli abitanti del villaggio ringraziarono il duca,ma rifiutarono l'offerta. Se l'esattore avesse saputo che avevano delle nuove case,li avrebbe tassati piu' duramente.
Questa era la situazione. Sacralita' e assolutismo c'entrano poco.
 
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view post Posted on 9/1/2014, 23:41
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Arciduca /Arciduchessa

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CITAZIONE (MmeAnna @ 9/1/2014, 23:19) 
.......L'aspettativa di vita era aumentata,quasi tutti i rivoluzionari avevano tra i 30 e i 40 anni,non avevano possibilita' di lavoro perche' non c'era stato uno scambio generazionale e perche',questo era un grande errore,le cariche si acquistavano non si meritavano.
Per quanto riguarda il semplice contadino,non era invogliato a lavorare di piu',a produrre di piu',perche' gli esattori li avrebbero tassati di piu'.
Molta terra,davvero tanta,era incolta per questo motivo. Ma il denaro delle tasse non arrivava tutto nelle casse del re. Si perdeva per strada,per incompetenza degli esattori o per ruberie varie.
.......

Perche' tutto questo mi suona tremendamente attuale? :(
 
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Boniface
view post Posted on 10/1/2014, 04:27




CITAZIONE (MmeAnna @ 9/1/2014, 19:08) 
Ora mi chiedo davvero il popolo nel 1774 credeva che il re fosse li' per volonta' divina?

A questa domanda mi sentirei di rispondere «sì».
Noi uomini moderni non possiamo più comprendere quanto la vita dei nostri avi fosse intrisa di fede e quanto ogni azione fosse legata alla religione.
Senza andare nel medioevo, ricordo semplicemente che quando mia madre nacque, nel 1955, in una modernissima clinica, mia nonna, come tutte le altre donne, buone cristiane o meno che fossero, si sottopose alla benedizione e purificazione della puerpera: 40 giorni dopo il parto la neo-mamma doveva recarsi in chiesa e farsi benedire dal prete per essere purificata, e durante quel lasso di tempo non poteva entrare in chiesa, toccare cose sacre, etc, di rimando alla festa religiosa un tempo detta della Candelora (2 febbraio), di antico retaggio ebraico confluita nel cristianesimo.

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un prêtre réfractaire

La vita del mondo rurale ruotava intorno alla fede ed ai riti. Il moderno pensiero anticlericale ci ha propinato l'ingenua favola che antichi riti pagani o celti siano stati “battezzati” nella novella fede cristiana per rendere meno traumatico il passaggio da una religione all'altra. Resta il fatto che in campagna non ci si sottraeva alle Rogazioni ed alle benedizioni dei campi o degli animali, non ci si scordava mai di benedire il cibo sulla tavola prima di mangiare, i rintocchi dell'Ave Maria una mezz’ora o tre quarti d’ora dopo il calar del sole segnavano la fine della giornata lavorativa, etc.
E nelle città o a Corte era la stessa cosa. Il giovane duca de Chartres, figlio di Philippe Égalité e divenuto poi il re (finto-)borghese Luigi Filippo, nel suo diario personale redatto tra il 1790 ed il 1792, ricorda la sua gioiosa iscrizione al Club des Jacobins dei quali condivideva il pensiero politico, annota tutte le attività che vi compie, ma non tralascia pure di ricordare le proprie pratiche religiose, lo scrupolo di coscienza venutogli e la conseguente richiesta di un consiglio al pio nonno duca de Penthièvre riguardo al diritto di farsi incensare durante le celebrazioni solenni essendo un principe della Casa Reale, la sua partecipazione alla messa di mezzanotte nella chiesa di Saint-Eustache nel natale del 1790,...
La fede e la religione per quegli uomini e quelle donne era un valore assoluto, intrinseco alle loro vite, che nelle classi più abbienti e più istruite fu corroso dal pensiero illuminista e razionalista, sopravvivendo più a lungo e più genuinamente nel popolo.
Poi vi erano buoni cristiani, e cristiani che talvolta non erano così buoni. Il Santo Curato d'Ars, un santo dunque, nella sua piccola parrocchia rurale ci racconta di questa realtà umana che cade nella mediocrità e meschinità e quindi nel peccato. Tutti gli abitanti si professavano cattolici, ma solo le donne, le ragazze ed i bambini frequentavano i sacramenti. Gli uomini se ne astenevano pur essendo abbastanza frequenti alle funzioni, perché si lavorava molto per scongiurare la povertà che era sempre incombente, diventando spesso avidi di guadagno, poco solleciti verso i poveri, verso i bambini avviati in tenera età al lavoro e verso i vecchi che diventavano un peso per le famiglie... Quale conquista quando alcuni uomini si accostarono al sacramento della confessione e ricevettero la Comunione il giorno di Pasqua!
Smettiamola di pensare ai nostri avi come dei sempliciotti che si lasciavano imbonire dalla religione e propinare ogni cosa dalla Chiesa. Non gli renderemmo giustizia!
Questo popolo poteva credere in un Re per diritto divino?
.
Lo credettero gli Chouani che sollevarono le regioni del nord-ovest contro il regime rivoluzionario, formando una Armee Catholique et Royale sotto la protezione del Sacro Cuore di Gesù rappresentato nel vessillo insieme alle insegne dei Borboni.
Lo credettero tutti quegli individui che appoggiarono e protessero il gran numero di preti refrattari (che rifiutarono di prestare il giuramento alla Costituzione Civile del Clero) e che attraversarono in lungo ed in largo tutto il paese celebrando clandestinamente i riti religiosi in comunione con la Chiesa di Roma, sfidando persecuzioni e martirio.

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Prêtres réfractaires : les prêtres martyrs de l'île Madame
 
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Boniface
view post Posted on 10/1/2014, 05:46




CITAZIONE (Maria Clotilde @ 9/1/2014, 22:40) 
Fatico a credere che la rivoluzione francese sia scaturita perche' Luigi XVI era un sovrano assoluto e perche' era re per grazia di Dio. Piu' prosaicamente, i parigini morivano di fame per la carestia e la poverta' (carestia a sua volta causata da un sistema economico nazionale inadeguato) e le nuove classi sociali emergenti volevano lo stesso potere e gli stessi privilegi riservati ai nobili. Se le condizioni di vita fossero state dignitose per tutti e se l'ascensore sociale avesse funzionato a dovere, pur con un monarca assoluto e divino, ci sarebbe stata la rivoluzione?
Troppo semplicistico?

Dopo più di 220 anni siamo ormai maturi per non credere più ai falsi miti della Rivoluzione Francese, ad osservarla con un occhio più critico e a trarne un bilancio veritiero.
Ci hanno insegnato fin dall'infanzia che la Rivoluzione ha significato l'irruzione nella storia di grandi beni quali la libertà, l'uguaglianza e la fraternità. Ma gli orrori e le oppressioni totalitaristiche che abbiamo visto dal 1900 fino ad oggi ci hanno reso più sensibili al ricordo degli orrori e delle oppressioni totalitarie che hanno accompagnato la Rivoluzione Francese, diventando un chiaro modello e manuale in materia.
La globalizzazione che ha reso possibile il contatto con paesi democratici che però non hanno conosciuto l'eredità della Rivoluzione (centralizzazione del potere statale, laicismo, scuola di stato, ugualitarismo, mancanza di consenso sociale, repubblicanesimo, etc.) ha relativizzato il valore della nostra filiazione rivoluzionaria, accompagnata dallo sviluppo della ricerca storica che ha contemporaneamente smantellato interi settori prima presentati come aspetti positivi della Rivoluzione, tanto che oggi essa viene addirittura indicata come la sorgente del totalitarismo del '900.

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Allegory of the French Revolution. French Citizen Blindfolded Trying to Take the Liberty

La situazione della Francia non era certo florida, ma neppure così disastrosa come ci è sempre stata dipinta. Fu il passaggio da rivoluzione nobiliare a rivoluzione borghese e più tardi pseudo-proletaria a renderla come oggi la ricordiamo. In realtà era nata come una rivolta di nobili che cercavano di arginare un ingombrante potere regio, ma che alla fine furono soverchiati dalla frangia giacobina arrabbiata e populista che, preso potere a Parigi alla fine nel vuoto politico creatosi dallo smantellamento dell'Ancien Regime, riuscì ad imporsi sul resto del paese. Mentre Parigi si rivoltava contro il suo Re, nel regno città come Lione, Marsiglia o regioni come la Vandea si sollevavano contro il regime rivoluzionario. Durante il viaggio intrapreso nel giugno del 1791 verso Montmedy, Luigi XVI poté verificare con i suoi occhi che il popolo era ancora il suo popolo: in molti lo riconobbero, ma solo l'arrabbiato giacobino Drouet si scapicollò per fermarlo e farlo arrestare. A Varennes il sindaco Sauce, droghiere del paese, avrebbe volentieri lasciato andare quella voluminosa berlina gialla e nera e quei personaggi così misteriosi, e solo le minacce brutali di essere denunciato come traditore a Parigi da parte di Drouet gli fecero cambiare idea. La gente normale per la verità era più infastidita dal passaggio delle truppe durante quella giornata, perché temeva che fosse segno di una guerra imminente alla frontiera, così vicina, che avrebbe portato solo guai per le loro attività agricole e commerciali.
I giacobini di Parigi operarono sul paese una vera opera di colonizzazione e conquista con la creazione dei clubs fin nei più piccoli villaggi, portando le loro idee in modo capillare nel paese, corrompendo anche l'esercito che era uno dei pilastri su cui fondare il potere (ricordiamo i fatti di Nancy e Metz dell'estate del 1790, insubordinazioni da parte di soldati appartenenti ai clubs giacobini, represse duramente dal generale de Bouillé per ordine della Assemblea Nazionale e che furono fortemente appoggiate dallo stesso La Fayette).
Non dimentichiamo che negli anni '80 vi era stata una rivoluzione in Olanda che aveva cacciato lo Statolder Guglielmo V e ne aveva imprigionato la moglie, rivoluzione soffocata duramente dall'intervento delle truppe prussiane; nel 1790 si erano ribellati anche i Paesi Bassi Austriaci, cacciando i governatori Alberto di Sassonia e Maria Cristina d'Austria, proclamandosi Stati Uniti del Belgio; le rivoluzioni erano nell'aria e, come la rivoluzione proletaria di Marx pensata per le industrializzate Inghilterra e Germania alla fine si concretizzò nel paese meno industriale d'Europa cioè la Russia, quella che sconvolse la Francia passò alla storia perché coinvolse una grande potenza, che aveva tuttavia piedi d'argilla.
Le Roy Ladurie, riprendendo gli studi di Alfred Covvan, di Crouzet e di Lévy-Leboyer, afferma che il decennio 1789-1799 rappresentò una catastrofe nazionale per l'economia francese che, favorita nel 1786 dal progetto del Mercato Comune iniziato con il trattato del libero scambio con l'Inghilterra, franò sotto la Rivoluzione.
«Bisognerà attendere i tempi “riparatori” della monarchia restaurata perché gli scambi della Francia con l'estero, in un secolo XIX ampiamente cominciato, ritornino all'alto livello prerivoluzionario del 1788» (Le Roy Ladurie, Préface à “Le sens de la Révolution français” par Alfred Cobban).
La Francia aveva così accumulato più di un terzo di secolo di ritardo nello sviluppo economico e nel commercio internazionale, un ritardo che non recuperò.
Lo storico di Cambridge D.W.Brogan nel suo saggio Le prix de la Révolution (1953) scrisse che molto probabilmente se non vi fosse stata la Rivoluzione, la Francia si sarebbe messa alla testa dell'espansione economica dalla fine del secolo XVIII, ruolo che lasciò così all'Inghilterra.
La stessa riflessione era stata espressa da un testimone della Rivoluzione, il deputato inglese Edmund Burke, osservatore delle vicende economiche e politiche, che scrisse: «I francesi [della Rivoluzione] si sono dimostrati i più abili artefici di rovina che mai sia esistiti al mondo. Hanno interamente distrutto […] il loro commercio e le loro fabbriche. Hanno fatto i nostri interessi, a noi che siamo loro rivali, meglio di quanto venti battaglie […] non avrebbero potuto fare».
Vi prego, liberiamoci dai vecchi cliché che ci hanno insegnato a scuola: una Francia povera piena di debiti, un re rimbabito che teneva in mano un potere oppressivo e cattivo, un popolo affamato che si rivolta e conquista la liberà!
Che le carestie del 1783, 1784 e 1786 avessero compromesso l'agricoltura e le conseguenti riserve di viveri sono un fatto certo ma non circoscritto alla sola Francia: oggi sappiamo che furono la conseguenza della devastante eruzione del vulcano islandese Laki avenuta nel 1783 (http://it.wikipedia.org/wiki/Laki e http://www.meteoweb.eu/2013/06/la-devastan...rancese/209228/), fenomeno a cui abbiamo assistito anche in anni recenti.
Che la struttura amministrativa del Regno fosse in parte ormai obsoleta era evidente, tanto che si stava cercando di porvi rimedio, anche se ormai con ritardo rispetto alle aspettative, incappando tuttavia in fatti contingenti che resero il problema più acuto.
Abbiamo già affrontato negli interventi precedenti la perdita di prestigio e di sacralità della figura del Re: anche Enrico III e un infante Luigi XIV (durante la Fronda dei nobili) dovettero abbandonare Parigi o affrontare delle province ribelli, ma avevano su di loro il forte scudo della inviolabilità e sacralità della loro figura e della monarchia. All'epoca di Luigi XVI questo scudo non esisteva più, demolito dall'interno dagli stessi sovrani come ho già avuto modo di esporre, e corroso all'esterno dal pensiero razionale portato avanti dall'illuminismo.
Luigi XVI non era il rimbambito che ci hanno sempre dipinto, ma un sovrano saggio, buono, che si prese cura del suo popolo, per carattere tentennate e che purtroppo non ebbe accanto chi avrebbe potuto e dovuto sopperire alla sua mancanza di fermezza.
Smettiamo di credere la Rivoluzione Francese una rivoluzione di popolo, una rivoluzione proletaria.
Almeno all'inizio non fu così. All'inizio fu un'altra Fronda, iniziata con l'Assemblea dei Nobili del 1788 e portata avanti con gli Stati Generali, dove la nobiltà, tenendo letteralmente per le palle il potere regio che aveva bisogno del consenso unanime dei tre stati per varare un radicale programma di riassestamento economico, voleva per contropartita limitare il potere del Re, renderlo un re da operetta. Gli Stati Generali non furono convocati per dare parola al popolo; erano un'istituzione nobiliare, allargata alla partecipazione popolare (ma legata al censo), volta a porre un argine al potere assoluto del sovrano.
Lo storico di sinistra Michel Vovelle in La Francia rivoluzionaria. La caduta della monarchia 1787-1792, ricorda che i membri eletti per il Terzo Stato e poi la maggior parte dei comitati rivoluzionari, erano di estrazione borghese e non popolare, perché nelle campagne come a Parigi i quadri più fanatici erano composti da borghesi, «uscieri, notai, maestri di scuola, curati costituzionali e a volte mercanti o imprenditori», che il sistema elettorale fondato sulla ricchezza aveva creato una classe politica composta di «magistrati, “borghesi” oziosi, liberi professionisti, negozianti e grossi commercianti, ex ufficiali, […] però ermeticamente chiusa alla partecipazione popolare o semipopolare».
Nelle file del Terzo Stato si erano fatti eleggere il duca d'Orléans, cugino del Re e futuro Philippe Égalité, il Conte de Mirabeau, e molti altri nobili o influenti prelati!
Quando la rivoluzione scivola di mano all'aristocrazia e finisce nelle mani degli arrabbiati giacobini, si fa sanguinaria e si trasforma in Terrore poliziesco.
La nuova fase rivoluzionaria che segue la distruzione della monarchia nella realtà dei fatti si trasforma in un regime volto a sopprimere il popolo.
La legge Le Chapelier arrivò a sopprimere tutte le associazioni operaie (che poterono rifiorire solo dopo la restaurazione del 1815).
Di fatto la Rivoluzione fu un martirologio operaio. Lo storico comunista Albert Soboul, professore alla Sorbona, nel suo saggio Storia della Rivoluzione francese, scrive: «Dal punto di vista sociale, le conseguenze dell'assegnato [sorta di biglietto di banca introdotto per sopperire alla mancanza di moneta contante http://it.wikipedia.org/wiki/Assegnato] furono molteplici. Le classi popolari, vittime abituali dell'inflazione, subirono un aggravamento delle loro condizioni di vita; gli operai pagati in cartamoneta, videro abbassato il potere d'acquisto. La vita rincarava, l'aumento dei prezzi dei viveri produsse le stesse conseguenze della carestia».
A Lione, per esempio, gli operai della seta in occasione dei loro grandi scioperi nel 1744 come nel 1786 ebbero l'appoggio dei Canonici-Conti della Chiesa di Saint-Jean, che li consigliarono, gli permisero di riunirsi nella loro chiesa primaziale, organizzarono e finanziarono il movimento operaio, intervenendo in loro favore presso le autorità, negoziando con i datori di lavoro, arrivando nel 1786 a vendicarsi con la spada nel 1786 a spese di un giudice quando questi aveva pensato bene di far giustiziare alcuni scioperanti. La Rivoluzione spazzò via ogni garanzia per la classe operaia.
Il potere giacobino impose un tetto massimo salariale, che si tradusse in una riduzione dei salari di circa un terzo. «In questa situazione le classi popolari sprofondarono nella disperazione» (A.Soboul), essendo la situazione addirittura peggiore di quella pre-rivoluzionaria.
Identica la situazione per i contadini piccoli proprietari e per i braccianti. Come osservato da Georges Lefebvre la soppressione dell'imposta ecclesiastica (la decima, fino ad allora a carico dei proprietari delle terre) e l'espropriazione dei beni della Chiesa, vanificarono i considerevoli aiuti sociali che queste tasse e questi beni garantivano ai poveri in caso di maltempo, di carestia oppure per l'acquisto di sementi, etc. La soppressione del regime feudale e della comunità rurale, la nascita della libertà di coltura e del diritto di recintare le terre, per Soboul soppressero di fatto la «comproprietà» delle terre dei nobili e dei contadini ricchi, che garantiva ai poveri i vecchi diritti comunitari, come il diritto di pascolo, di passaggio, di spigolatura, di raccolta delle ghiande e della legna, e così via, che permettevano ai poveri di sfruttare in seconda battuta i terreni, i prati e i boschi dei nobili e dei ricchi, e così di nutrirsi, di avere un po' di bestiame, di scaldarsi, di costruire.
La Rivoluzione soffocò lo spirito imprenditoriale. «La Rivoluzione si fece in ampia misura contro e non in favore delle forze montanti del capitalismo» (A.Cobban). Il caso tipico dell'assurdità economica rivoluzionaria fu il decreto del 7 marzo 1793 che stabilì l'uguaglianza di successione assoluta tra i figli. La conseguenza di questa «misura di pura passione ideologica è stata un disastro senza fine e sempre tipicamente francese»: si distrussero le cellule economiche patrimoniali, cioè delle imprese, in occasione di ogni trasmissione ereditaria che riguardava numerosi figli (per esempio una fattoria ben avviata economicamente, in caso di sei eredi, sarebbe dovuta essere divisa da un perito in sei parti uguali a beneficio di ogni erede, sancendone il fallimento), disposizione che non esisteva né nel diritto inglese né in quello americano dove vigeva la libertà di fare testamento.

Per non tediarvi troppo, vi rimando allo scritto di Jean Dumont I falsi miti della Rivoluzione francese di recente finalmente ristampato.

À bientôt.

caricture14
Incisione inglese di Gillray, Biblioteca Nazionale, Parigi
 
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40 replies since 3/1/2014, 13:14   1895 views
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