Forse era la mostra sul Grand Tour dislocata in dieci musei dal titolo "Oltre Roma tra i Colli Albani e prenestini al tempo del Grand Tour"?
Comunque ora c'è la mostra a Cortona, che deve essere molto bella: espone, oltre ai reperti archeologici etruschi raccolti da Thomas Coke, anche oggetti legati al viaggio.
Volevo aggiungere ancora qualcosa, riguardo alle impressioni che produceva il popolo italiano sui viaggiatori del Grand Tour.
Ciò che accomunava gli abitanti della penisola e che colpiva gli stranieri era la tendenza all' "amplificazione" e all'enfasi nel parlare, oltre all'uso eccessivo degli
issimo!
L'italiano turistico, secondo lo scrittore tedesco
Franz von Gaudy (che compì il Grand Tour tra il 1833 e il 1835) consisteva nell'imparare 3 espressioni con cui "uno può comodamente sbrigarsela da Sesto Calende fino ad Agrigento"; si tratta di:
Sicuro!, di
Domandate troppo (espressione che è "anche assai più necessaria") e
Aeh! ("chi non sa o non vuole rispondere a una domanda, con un sonoro e ridondante aeh si farà perfettamente intendere da un italiano!").
Stendhal scriveva che "si parla sempre toscano agli stranieri, ma quando il vostro interlocutore vuole esprimere un'idea in modo energico, allora ricorre ad una parola del suo dialetto".
Il
toscano era infatti l'
italiano usato per farsi comprendere, anche se il dialetto restava la lingua parlata dai più.
Il commediografo spagnolo
Leandro Fernandez De Moratin, che fu in viaggio in Italia tra il 1793 e il 1796 affermava che "il fiorentino è fastidioso negli uomini, ma diventa più gradevole se a parlarlo è una donna, specie se bella"...!
Anche
Byron, trovava molto bello il veneziano "molto piacevole da sentirsi da una bocca femminile".
Generalmente, gli italiani parlavano anche un po' di francese "bene o male".
Ma non sono rari gli esempi di inglesi o francesi che vollero imparare il dialetto locale, quando ad esempio avevano l'opportunità di potersi fermare più a lungo in uno stesso luogo.
Così è il caso del poeta inglese
Robert Browning che a Venezia imparò quel "morbido linguaggio" per frequentare il teatro Goldoni.
O del pittore
Jean Houel, che compì due viaggi in Sicilia nel 1700.
Egli scrisse di aver imparato bene la lingua e di essersi vestito secondo la foggia locale "affinchè nessuno potesse sospettare in me lo straniero e per correre meno rischi; questo perchè nell'ascoltare tutte le storie drammatiche che mi erano state raccontate, mi ero reso conto che i briganti assaltavano più i forestieri che gli indigeni".
Chissà quale fu il risultato!...il dialetto siciliano e il napoletano stretto erano ritenuti i più incomprensibili!
Tra parentesi, il problema del brigantaggio era molto diffuso in Sicilia e in Calabria e impensieriva non poco i viaggiatori:anche questo era un rischio, ma che veniva messo in conto.
I viaggiatori del Grand Tour erano preparati alle difficoltà, innumerevoli, che il viaggio poteva comportare.
Ma anche questo aspetto rappresentava il fascino del Tour.
Ta coloro che lo affrontarono da questa prospettiva avventurosa, è da ricordare
Johann G. Seume, scrittore tedesco che, nell'800, attraversò a piedi tutta l'Italia, 30 km al giorno.
Affascinato dal sud, dopo la visita alla Reggia di Caserta scrisse che "raramente si potrà trovare in un altro luogo una simile magia"; mentre dei luogi intorno al Vesuvio disse che "qui la natura ha dispensato i suoi doni fino al limite dello sperpero".
Una curiosità: si deve allo scrittore e astronomo francese
Joseph Jerome de Lalande (1732 - 1807) il famoso detto "Vedi Napoli e poi muori"!
I suoi ricordi di viaggio sono raccolti nel libro "Voyage d'un Francais en Italie fait dans les années 1765-1766".
CITAZIONE (MmeAnna @ 13/4/2014, 15:17)
Erano una serie di conferenze in realtà, ma da quello che ho letto, avrebbero esposto anche delle opere.
L'evento si teneva nel Museo Napoleonico ed è durato tutto l'anno.
Ah, ecco! Hai già risposto mentre scrivevo...
Edited by reine Claude - 15/4/2014, 11:02