Capitolo quarto: Guardoni di regine morte…
… Scoprivateli, su Rieducational Channel!
Finalmente il quarto giorno si va a palazzo: è da mesi che Alessandro aveva visto sul sito di Versailles la visita tematica “Dans l’intimité de Marie-Antoinette”, figurarsi se poteva lasciarsela scappare. Per di più iniziava alle dieci, e avendo già i biglietti non abbiamo nemmeno dovuto fare una levataccia.
La saletta dove ci fanno attendere che si raduni tutto il gruppo è sempre la solita, una stanza del Grand Commun attigua alla biglietteria, decorata come le altra da degli orridi lampadari in… policarbonato… metacrilato… insomma, delle cagate pazzesche nate dall’incrocio tra uno chandelier e un ceppo di coltelli del discount; sono quel tantinello inquietanti perché ti immagini sempre che stiano per cadere, respinti dal soffitto schifato da cotanta paccottiglia, e finiscano per trafiggerti da un momento all’altro. Ah, si chiamano “lampadari di design”? Credevo si chiamassero “erpici”… mamma, come sono campagnolo! Sono rimasto ai cari, vecchi lampadari con le candele.
La cerimonia con la prova dei gingilli audio necessari per seguire la spiegazione della guida avviene con tutti i risvolti fantozziani del caso, ogni santa volta c’è sempre quello con le pile scariche o la persona che non riesce a trovare il pulsante dell’accensione. O anche quello che non capisce dove infilarsi le cuffiette, la qual cosa trovo sia imbarazzante.
Arriva la nostra accompagnatrice, una signora di età indefinibile dal capello grigio, potrebbe avere quarant’anni come sessanta, ha le movenze di una suora in libera uscita ma nel contengo e nel modo di dirigere il gruppo sembra Tata Lucia Rizzi. Quando ci guardava al di sopra degli occhialetti sembrava pensare: “Occhio a non sgarrare o vi bacchetto tutti sui malleoli!”
Il giro negli appartamenti privati di Maria Antonietta non è molto diverso dal solito, escludendo che il Cabinet de la Meridienne è chiuso per restauri; poco male perché tanto non ti ci fanno entrare lo stesso ma si può solo guardarlo restando sulla soglia. Chiariamo che non si chiama “Meridienne” perché la Maria ci avesse piantato uno stecco nel centro del pavimento per trasformarlo in una meridiana, è che di solito lo usava nelle ore centrali della giornata (la Settimana Enigmistica mi insegna che meridiem, in latino, è il mezzogiorno): insomma, è facile che la regina ci facesse la pennica del dopo pasto. Una cosa molto interessante, invece, è stato che Tata Lucia ci ha fatto percorrere scalette e cunicoli che non avevamo mai visto, spiegandoci che con ogni probabilità quello è il percorso seguito da Maria Antonietta nelle giornate di Ottobre quando cercò di raggiungere gli appartamenti del Re e dei figli.
È stato nel Cabinet du billard, dove fra l’altro il biliardo non c’è, che abbiamo saputo che la manifatture di Lione hanno impiegato un tempo stimabile attorno ai diciotto anni per tessere i parati della stanza, mentre ne hanno impiegati ben ventitré per quelli della camera da parata di Luigi XIV, al ritmo di tre centimetri al giorno. Il tutto contando che mancava qualsiasi informazione dell’epoca della produzione originale, pertanto gli esperti delle manifatture non sono mai riusciti a decifrare con precisione i punti usati e i metodi impiegati per la tessitura ed hanno realizzato un qualche cosa che somigliasse molto alle stoffe della stanza del Re, ma senza riuscire a riprodurle esattamente. Viene spontaneo chiedersi quante abilità manifatturiere e che generi di tecnologie possano essere andati perduti in poco meno di tre secoli, se con i mezzi a nostra disposizione non riusciamo a venire a capo di una cosa simile.
Una cosa che mi piace sempre molto quando facciamo una vista ai Petits Appartements è che ci mostrano sempre la porticina a fianco del letto da parata della regina, quella attraverso la quale finita la cerimonia del coucher la Maria di turno (
Antonietta,
Leszczyńska, e forse anche
Teresa) pigliava e ne andava a cuccia in camera sua. L’idea di starmene lì con un sorrisone smargiasso a novantotto denti stampato in faccia mentre… come dire… il popolo, ecco… sta lì fuori e ti guarda rodendosi perché non può entrare è appagante. Una soddisfazione del menga, concordo, ma sempre meglio di nulla.
Ovviamente giacché eravamo al castello mai più avremmo potuto tralasciare l’occasione dell’ennesimo periplo dei Grand Appartements, o no? E allora via, giusto per accorgesi che come sempre c’è qualche modifica nel percorso, cosa perfettamente normale visto che fin dalla sua nascita la reggia di Versailles è stata più simile ad un organismo vivente che ad una costruzione fatta dall’uomo, sapendo quanto possa cambiare e modificarsi; è vero che non ce la fa da sola, non è un organismo totalmente autosufficiente, e necessita di parassiti per la crescita: gli uomini.
A parte tutto, mi ha fatto un po’ senso trovarmi davanti l’enorme quadro raffigurante Luigi Filippo e i figli che escono a cavallo dalla corte del castello: già non sopporto lui, sua moglie Maria Amelia gode del nomignolo di
Madame Falqui (“Basta la parola!”) e loro figlio Montpensier sarebbe stato da prendere a sberle su quella faccia da pantegana fino a renderlo socialmente presentabile, ma vedermeli così sbattuti in faccia nei vecchi appartamenti del duca du Maine mi ha lasciato un po’ basito. Sedici metri quadrati di tela di Vernet che ha richiesto una gru per essere spostata dall’ala del castello dove si trovava, e anche la rimozione delle finestre per permetterne il passaggio (della tela, non della gru). È la prova che Versailles non è
Moana, e spingendo bene non ci passa di tutto. Restando in tema Moana, negli appartamenti di
m.me de Maintenon era allestita una mostra temporanea su Versailles e la Cina, sostanzialmente dedicata alla cinomania che ha sempre affascinato la Corte. Ho trovato molto interessanti alcuni pezzi, peccato che degli appartamenti della Vecchia Mona si sia visto ben poco perché era quasi tutto coperto dalle impalcature utilizzate per allestire l'esposizione.
Pranzo veloce al Café d’Orléans, sorta di via di mezzo tra un fast food e una paninoteca ricavato nello spazio dei vecchi alloggi della famiglia di Luigi Filippo; senza infamia e senza lode, prezzi nella media francese (ricordo che un caffè a Versailles o Parigi costa 2€10 quasi dappertutto, tanto per dare un’idea).
Il tempo sta via via andando verso la pioggia, per cui dedichiamo al parco il minimo indispensabile sapendo che ci torneremo almeno un’altra volta se non due; si parte in direzione Hameau de la Reine mentre inizia a piovigginare. Governo ladro? Si, certo. Sempre, dovunque e qualunque. Girellando tra le casette scopriamo una cosa: una sana e grassa nutria che passeggia felice sul prato davanti allo stagno; mi dicono che ce ne siano parecchie e che stanno facendo diversi danni, ma che nessuno sa come siano arrivate lì, quello che è certo è che fino a un paio di anni fa non ce n’era traccia.
Altre due cose curiose che scopriamo sono che qualche buontempone -o un feticista- aveva pensato bene di rubarsi la sfera dorata che è sulla cima della Tour de Malborough, e che è stata ripristinata da poco; inoltre il fatto che una delle molte storie di fantasmi del Trianon riguardi la piccola Maison de la Reine: negli anni ’20 (dovrei dire del secolo scorso, ma si capisce lo stesso) un muratore che stava facendo dei piccoli lavori di consolidamento della struttura vide attraverso una porta la sagoma di una donna decapitata che camminava. Preso dalla paura si armò di mattoni e cazzuola e murò quella porta, che è chiusa ancora ai nostri giorni: non per timore, non per rispetto per la poveretta decapitata, non per disinteresse o mancanza di volontà di ripristinare il vano. No, è che non si riesce ad ottenere l’autorizzazione per demolire una cosa costruita senza autorizzazioni.
Ora, sorvolando sull’assurdità della burocrazia della reggia, mi chiedo: ma uno che si assume il rischio di andare a rubare qualche cosa a Versailles deve proprio scalare sei metri di costruzione per ciularsi la decorazione di un parafulmine? Ladri bimbiminkia: scoprivateli anche loro su Rieducational Channel!
Su Rieducational Channel scopriremo anche i turisti bimbominkia: la statua di Bouchardon che è nel tempio dell’amore,
L’Amour taillant son arc dans la massue d’Hercule, ha una differenza rispetto all’ultima volta che l’abbiamo vista, manca un pezzo di arco. Ma perché, come mai, ma perché? C’è sato un terremoto? Naaaa. Una nutria mannara affamata ha aggredito la statua? Naaaa. Un ricco turista americano ha voluto a tutti i costi comprare quel pezzo di statua per la sua collezione privata, dando in cambio il restauro della
chaise percée di Luigi XVI? Ma nemmeno per sogno.
Una famigliola di nazionalità non pervenuta ha pensato bene di appendere il bambino alla statua per fare una foto ricordo, che spero solo si ricordino finché campano. Loro e quello sfigato di figlio che ha due genitori così cretini. La cosa più fuori della grazia di qualsiasi dio è che a questi qui non è stato fatto nulla, non un minimo di accusa di danneggiamento alla proprietà pubblica, o di vandalismo o che altro. No. N.U.L.L.A. Hanno dichiarato che si è trattato di un incidente e che non è stato fatto apposta. Mi sento male.
Chiudiamo la serata mangiando… ma va’?
Stavolta optiamo per una rosticceria cinese: le Canard d’or Express, in rue de la Pourvoierie (nella zona del mercato, vicino al nostro albergo); si può consumare sia sul posto sia portare via. Non male, i costi sono contenuti e le porzioni non hanno problemi di sorta perché paghi a peso.
Io avevo ancora un buchetto lì, quel qual cosina che ti agita nella panza, e propongo una crêpe in un locale a pochi passi da lì. Giù di sidro per accompagnarla, in questi giorni ho fatto veramente la cura del sidro per quanto ne ho bevuto, erano anni che in Italia non ne trovavo di così buono.
- J., ma tu non mangi la crêpe?
- No, grazie. Il cinese mi ha steso!
E tte credo, fija mia: c'hai avuto pure 'a cinesa che te s'è inquattata na 'a foto der quadro!
Edited by Maurº - 13/12/2014, 19:07