Maria Antonietta - Regina di Francia

Diario di viaggio 2014, Splendori e miserie dei cortigiani

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view post Posted on 19/10/2014, 12:56
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Marie-Antoinette

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La grande assente


Io la cerco sempre, la mia amica Liselotte, ma la imboscano nelle sale Luigi XIV, al primo piano dell'ala sud.
Attualmente sono aperte solo il sabato e la domenica, oppure una volta ogni morte di papa. Sì, in compenso tengono aperta sempre quella baracca di Galleria delle Battaglie, coi più brutti quadri che Luigi Filippo abbia potuto pagare a metro e a tempo per farli fare più in fretta quando decise di aprire il museo.


Sono anni che sogno di farmi fotografare sotto il suo ritratto con un cartello con su scritto “Abbasso la Vecchia Mona!”, e sotto quello della suddetta Maintenon con un altro cartello “Liselotte von der Pfalz rulez!”...


Gli altri due quadri sono ritratti di Maria Adelaide di Savoia, Duchessa di Borgogna, mamma di Luigi XV e nipote abiatica di Monsieur Philippe poiché figlia di sua figlia Anna d'Orléans, nonché terza cugina di Liselotte in quanto figlia di Madame Henriette, la prima moglie di Monsiuer, nata Enrichetta Anna Stuart, figlia di Carlo I Stuart e Henriette Marie di Francia (sorella di Luigi XIII): Carletto Stuart era il fratello della nonna paterna di Liselotte, la squinternatissima Elisabetta Stuart.


Segnaliamo accessoriamente che la piccola Duchessa di Borgogna a Versailles era tutta frizzi, lazzi e occhioni languidi per la Vecchia Mona: la sua brava mamma savoiarda era una bestia politica di suo, e il fatto di essere entrata in una famiglia di gente che non ha mai finito una guerra con gli stessi alleati coi quali l'aveva iniziata non la fece certo migliorare, e di conseguenza Anna d'Orléans mise da parte con eccessiva disinvoltura l'affetto che la legava alla donna che le aveva fatto da madre e sorella maggiore per suggerire alla nuova bimbetta reale di prendere partito contro la grossa Madame.



Edited by Maurº - 17/11/2014, 11:19
 
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view post Posted on 2/11/2014, 21:14
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Marie-Antoinette

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Diario di viaggio, capitolo ottavo: una pashmina è per sempre


Il tempo passa, ed essendo nella natura dell’esistenza che viviamo su questo piano l’esser caduca tutte le cose giungono ad un termine, prima o poi. Lunedì la J. deve rientrare in Italia, e la mattina la troviamo in camera sua intenta a sistemarsi la piega. Ora, io non me ne intendo, e del resto lei ha metri e metri di capelli in più di me (io, però, la batto con lo stuoino sulla panza: a ognuno il suo) ma… non so se sia una grande pensata usare la piastra mezzo minuto prima di doverla stivare in valigia. È stato meglio lasciarla troneggiante in cima al trolley lì, nella buia solitudine del vano bagagli dell’hotel, mentre noi si andava a zonzo. La cosa che ci ha destato qualche sorpresa è stato il concierge: di solito le chiedeva “Vous partez?” ogni volta che la vedeva uscire con noi, e il giorno che gli si presenta al bancone caracollando in cima a una valigia guidata da una piastra a mo’ di cornak la guarda con l’aria di quello che è appena caduto dalle nuvole.


Dato che l’altra volta il tempo era schifido e non riuscimmo a vedere Saint-Cloud, abbiamo deciso di provarci di nuovo, portandoci dietro il nostro codazzo di amiche. Sì, perché oggi traviamo anche Alice e una sua amica. Volendo rimanere in tema di comunicazioni meteo, non pioveva ma faceva un freddo becco: il classico froid cocu, insomma.


Appuntamento alla stazione della RER di Javel, per prendere la metropolitana a Javel - André Citroën. Colazione frugale in un pub (due brioscine, una spremuta d’arancia… tanto per arrivare alle dieci per fare colazione di nuovo). Bellino, Javel. Suona bene. Sembra il nome di un generale di Napoleone… maréchal Javel? No. Scordarselo. È solo un vecchio quartiere di Parigi dove fabbricavano due cose: varechina e automobili. Quando lo scopri perdi tutta la poesia in un colpo solo.


Direzione: Sévres, museo della ceramica, e parco di Saint-Cloud per fare gli archeologi da operetta, una specie di incrocio tra Alberto Angela e Stéphane Bern, per ficcanasare nelle atmosfere residue degli Orléans e della Maria. Poi, avendo tempo, si fa un saltino a trovare la Pina alla Malmaison. Sì, ce la possiamo fare, se non ci perdiamo di nuovo per strada. Tanto, la fermata di Pont de Sévres è a pochi passi dal museo, dobbiamo solo attraversare un ponte sulla Senna. Per sicurezza chiediamo informazioni ad un’autoctona che sta passeggiando col cane: “Si, è fascilissimm. Pràndete pàr di quà, òndate druà fino a quando arrivate ò gradèni sulla destra e sàndete”. E fu così che fantozzianamente percorsero due chilometri di sopraelevata a piedi, per fortuna in orario non consono a farli scambiare per un gruppo misto di peripatetiche, prima di finire di mandare in malora la sciura. Madame, la prossima volta continua a far pomiciare il cane con gi idranti invece di dare indicazioni a cazzo, merci. Meno male che Ale ha consultato google maps, o staremmo ancora girando in tondo.


Il Museo Nazionale della Ceramica è ospitato in un bell’edificio di inizio ‘800, ci si trovano collezioni che spaziano dal medio evo ai nostri giorni, con dei pezzi veramente interessanti che hanno solleticato molto il mio interesse di gazza ladra: vasi liberty, candelabri neoclassici, busti e ritratti. Ho sempre avuto un debole per tutto quello che è baraccone, più che barocco, e appariscente. La cosa non esclude che possa anche essere elegante, e ci sono determinate influenze dell’Art Nouveau che uniscono bene le due cose.


Il parco di Saint-Cloud è limitrofo al museo, ma essendo bello grande (460 ettari, mentre l’intera cittadina ne copre circa 756) è un po’ lunghetto girargli attorno per trovare l’ingresso giusto; e infatti noi giriamo, giriamo, giriamo e ad un certo punto ci ritroviamo attanagliati dalla fame e dallo scoramento. Siccome a panza piena si ragiona meglio cambiamo in fretta di obiettivo: alla ricerca del panetto perduto! Scopriamo una sorta di fast food (che già di suo come parola mi genera l’orticaria) di nome Subway. Varietà interessante di tipi di pane, di farciture (compresa la bistecca vegetariana, che immagino sia del tofu con verdure affettato e grigliato) e soprattutto di salse (ho copiato quella alla senape e miele e quella dolce alla cipolla), curiosa la modalità: ti fanno i panini a centimetri.
Va beh, lo devo dire? Tra un boccone e l’altro abbiamo fatto tardi e c’è toccato saltare Saint-Cloud per non dover rinunciare alla Malmaison, abbiamo giusto il tempo di fermarci a scattare delle foto alla cascata dal ponte sulla Senna. Una volta tanto ci concediamo il lusso di viaggiare in superficie: da Sévres parte una linea di autobus che porta dritti alla Malmaison, e il biglietto è sempre il benemerito pass che ti fa girare dappertutto.


La Malmaison è sempre piacevole, poco conosciuta ma per questo la apprezzo ancora di più: non ci si troverà mai la calca e il casino che ci può essere a Versailles, posto che per quanto mi piaccia e lo ami non trovo né straordinariamente bello né vivibile né tantomeno di un buongusto esagerato: in effetti Luigi XIV non brillava esattamente per il buongusto… massiccio, imponente, stupefacente, borioso sì ma elegante e chic proprio no.
Per me la raffinatezza del decoro a Versailles inizia a germogliare con l’epoca di m.me de Pompadour per poi maturare del tutto con il Luigi XVI, in sostanza quando passo da una stanza piena di marmi di colori diversi e quintali di putti e trofei dorati (finti, fra l’altro: nella grande galleria e dintorni il bronzo dorato sui muri è solo fino a dove si vede, ossia ad altezza d’occhio. Da lì in su è tutto volgare ottone economico)… passando dai trofei dorati, dicevo, alle boiseries policrome e poi bianche e dorate.


Lo stile dell’Impero non è che sia esattamente il massimo dell’eleganza, eh… ci sono certe cose che mi sono sempre parse un incrocio tra la ricerca delle radici in conto terzi degli Americani e quel qualcosa di parvenu, di vorrei ma non posso, che non è realmente chic anche se si ha anche fare con oggetti e manufatti di pregio e di valore.


Noto però una ricerca maggiore della comodità, per lo meno in quelle che sono le stanze private: la biblioteca della Malmaison è quasi intima, anche se abbastanza vasta e funestata da delle sedie in pelle scura e legno di acajou.
Anche la fissazione di Napo o chi per lui di allestire dei decori a tema militare non è che mi sia mai andata troppo a genio: passi un dettaglio o una stanza tanto per ricordare che lavoro fai, oppure per rendere omaggio la moda del periodo del Direttorio, come per esempio l’ingresso del castello è una struttura a forma di tenda militare, con tanto di lance che le fanno da sostegni. Però est modus in rebus, che diamine! Anche la stanza da letto di parata della Pina doveva essere travestita da tendone? Simpaticissima, femminile nonostante i pezzi di militaria, femminile in maniera quasi pesante con tutti quei cigni in giro… ecco, dormire in una camera completamente rosso cremisi potrebbe farmi venire degli incubi, ma dubito che la Pina dormisse lì.


I ricordi napoleonici si sprecano, ma è anche ovvio: però la Pina ci ha messo molto del suo, vivendoci a lungo, e ci sono i ritratti suoi e dei figli, Eugène e Hortense, che campeggiano. Alcuni piccoli dettagli, come il cedro del Libano che Napo piantò nel parco dopo la battaglia di Marengo, mi fanno pensare agli amori di quella stranissima coppia: Napoleone, nonostante tutte le sue frasche, mi ha sempre dato l’idea di essere stato innamorato della moglie per lo meno all’inizio, mentre non sono mai riuscito a capire se la Pina lo ricambiasse almeno un po’. Non so, mi pare che lei fosse più legata al suo ruolo di padrone della bottega che a lui come uomo; del resto, una che si faceva pagare da Fouché (Joseph Fouché , duca d’Otranto, ministro della polizia imperiale) per dargli dei dettagli sulla vita quotidiana e intima del marito non mi fa pensare molto troppo tanto bene della sua dirittura morale.


Il parco è in stile inglese, altro omaggio alla moda dell’epoca; la Pina non badò a spese e ingaggiò anche Thomas Blaikie, il paesaggista scozzese che si occupò anche del parco della Bagatelle.


Per restare in tema di similitudini, anche qui troviamo un roseto e ovviamente la Pina mosse mari e monti per riuscire ad ottenere quello che voleva: certo, quando sei la moglie di quello con tutti quei cannoni è tutto più facile. Nel 1810, ad esempio, la marina inglese e quella francese si trovarono a intavolare trattative diplomatiche perché uno dei rosai di Joséphine potesse arrivare dall’Inghilterra a casa sua passando attraverso il blocco navale. Mobilita perfino Redouté per fare i ritratti ai suoi fiori, e all’epoca della sua morte (della Pina, non di Redouté), si contavano circa 250 varietà di rose. Tacciamo sugli animali: canguri, zebre, struzzi, emù… sì, c’era anche suo marito ogni tanto!
Il cielo si rannuvola, ma non ci perdiamo d’animo: scopriamo perfino un giardiniere piacente che sta falciando l’erba, e chi siamo noi per negarli una generosa occhiata? L’occasione è buona per scattare foto (ma va’?), e per fare i matti (ah, ecco… mancava): abbiamo iniziato a giocare a Lady Hamilton. Che è, direte voi? Nulla di complicato: abbiamo preso una modella, Alice, in questo caso, e le abbiamo drappeggiato addosso delle sciarpe a mo’ di abito stile impero, avevamo anche bisogno di consolarci perché le collezioni degli abiti d’epoca sono state chiuse, ufficialmente per preservarle. Siamo stati obbligati a smetterla perché ha iniziato a piovere.


Ci siamo riparati nel padiglione di Osiris, costruzione poco lontano dall’ingresso del dominio. Sorpresa, ci sono degli oggetti interessanti anche lì. Piccole antichità egizie comprese. No, il nome di Osiris non deriva da quelle, e nemmeno dalla Wandissima: è il soprannome del ricco ebreo marocchino maniaco di Napoleone che acquistò il dominio, lo risistemò, e poi lo regalò di nuovo allo stato lasciandoglielo in eredità.



Edited by Maurº - 13/11/2014, 13:34
 
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view post Posted on 16/11/2014, 15:03
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Marie-Antoinette

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Diario di viaggio, capitolo nono: Fantozzi e la crème fouettée


Dai, su che il sole mangia le ore e dobbiamo correre anche oggi. Governo ladro, anche quest’anno mi servirà almeno un paio di settimana di turni in fabbrica per rimettermi dalle ferie: gente, ho quasi cinquant’anni… dovrei darmi una regolata, e invece no. Del resto non fumo (puzza, lo odio), non mi drogo (fa diventare scemi e non ne ho bisogno), non gioco (sono fortunato come i cani che la fanno in chiesa), non vado a donne (sono un tipetto morigerato), non faccio uso di prodotti di origine animale (per quanto possibile al giorno d’oggi senza diventare matti o nazivegan), lasciatemi almeno questo vizio. No: per essere onesti trinco, ma tolto che l’acqua fa marcire i pali, non mi risulta di aver mai avuto notizia di alluvioni o frane causate da cantine e botti di vino. Modestamente.


Meta del giorno: Chantilly, Musée Condé, che rivedo sempre con piacere; e giacché la Piccardia è una regione ospitale noi portiamo anche Alice e una nostra nuova amica. Usciamo dall’hotel di corsa, con quel solito ritardo fisiologico, e lungo la strada ci accorgiamo che la nostra pasticceria di fiducia è chiusa; abbiamo dovuto ripiegare su un più proletario e schifido McDonald, ma tutto sommato è stato un bene: la cacca traditrice del mattino ha bussato nel momento stesso in cui siamo stavo ordinando il mio muffin coi mirtilli, la sola cosa buona è che il Mc aveva appena aperto, e il bagno -dove peraltro pareva fosse esplosa una bomba da quant’è malconcio- era stato appena pulito.


Usciti in ritardo, accumuliamo ritardo, e quando arriviamo alla gare du Nord le ragazze hanno già fatto il biglietto; noi ci riusciamo per il rotto della cuffia, e siccome siamo bambini fortunati non funzionano le carte di credito per problemi delle linee telefoniche, ci tocca stare lì a fare ruma ruma nelle tasche per trovare le monetine. Per coronare l’inizio della giornata non trovo di meglio da fare che dimenticarmi gli occhiali da sole in treno, anche se penso che conoscendo il mio livello di attenzione è già un miracolo che mi siano durati un anno!

Il castello è un po’ lontano dalla stazione di Chantilly-Gouvieux, c’è da farsi una bella scarpinata (e noi abbiamo già fatto il numero di Cappuccetto Zozzo che si perde nel bosco l’ultima volta che siamo stati qui): decidiamo di darci al mezzo pubblico, magari un autobus o un taxi. Mentre stiamo ancora cercando di raccapezzarci per capire in quale via siamo di preciso per dare informazioni all’ipotetico autista sentiamo suonare un clacson, è Alice che ha fatto molto prima di noi a trovare un tassista libero. Fa accostare la vettura con il fare di una duchessa che dice allo chauffeur “Battista, soccorra quei poveri défavorisés”, noi saliamo e dopo dieci minuti e tre chilometri scarsi (per la modica cifra di dieci svanziche) arriviamo davanti al cancello di ingresso del museo. Guardiamo con occhio languido i baracchini dei gelatai, che data l’ora antelucana (le dieci meno un quarto) non hanno ancora aperto.


Prenotiamo la vista guidata agli appartamenti privati, e intanto girovaghiamo per il castello in attesa che scocchi l’ora X. Castello che è grossomodo finto, è stato ricostruito e risistemato in parte alla Restaurazione e in parte alla fine ‘800 poiché durante la Rivoluzione era stato svuotato e parzialmente demolito: Louis-Joseph, Principe di Condé al suo rientro dall’esilio nel 1815 fa restaurare la parte chiamata Piccolo Castello, o Capitaneria, mentre il suo pronipote, Henri d’Orléans Duca d’Aumale (figlio di Luigi Filippo, ed erede di Louis-Henri-Joseph -ultimo Principe di Condé- tramite la moglie di questi, Bathilde d’Orléans e sorella del nonno di Henri: il famigerato Philippe Égalité) fa ricostruire il Castello Grande dal 1871 per custodirvi le collezioni d’arte che aveva raccolto durante l’esilio, ma anche durante il periodo della Monarchia di Luglio vi aveva fatto fare dei lavori, come la galleria in legno collegata agli appartamenti privati.



So che è fasullo, o meglio che non è la costruzione originale, ma mi piace molto; è lontano dall’essere soffocante o ossessivo come la parte antica di Versailles, o vasto e dispersivo come le gallerie del Louvre. Ha delle dimensioni da castello, non è una bicocca eppure ha un’atmosfera raccolta e intima, nonostante la presenza di una folla di turisti, ivi comprese le sosia ucraine di zia Assunta e della Tata!


Al primo piano troviamo i Grandi Appartamenti, mentre quelli che visiteremo in seguito sono al pianterreno. Una singolarità è rappresentata da un ambiente, la Grande Singerie, chiamata così per le allegorie dipinte sulle boiseries che rappresentano delle cineserie ma i cui personaggi sono -ma và?!- delle scimmie; sono opera di Christophe Huet, che si dice abbia impiegato quindici anni per terminarla. I dipinti sono su tutte le pareti e sul soffitto, i pannelli sono bianchi con fregi in stucco dorati. Si tratta di una moda che ebbe inizio durante la Reggenza, ma curiosamente non sono rimasti molti esempi di questo tipo di decoro integri in Francia, e la cosa eccezionale è che qui a Chantilly ce ne siano due, l’altra singerie (più piccola) si trova negli appartamenti privati dei Duchi d’Aumale. Non manca la galleria celebrativa dei fatti d’arme del Gran Condé, uomo che io trovo antipaticissimo ma che è stato pur sempre uno dei più grandi geni militari della Francia; e per finire il giro troviamo la sala da musica, il cui restauro è stato terminato un paio di anni fa.




Nella galleria delle opere d’arte faccio una scoperta inattesa: un ritratto mezzo nascosto in un corridoietto laterale, una donna con un’enorme gorgiera di pizzo e un carico di perle addosso da far invidia al ritratto di Anna Maria Martinozzi (la nipote del Cardinale Mazarino che sposò il Armand de Bourbon-Condé, Principe de Conti): il cartiglio mi dice che si tratta di Elisabetta Stuart, la figlia di Giacomone I Stuart che sposò Federico V del Palatinato, in breve è la nonna paterna di Liselotte e quella che assieme ai diritti di successione al trono inglese portò probabilmente in dote a quella branca della famiglia dei Wittelsbach anche la malattia della quale pare soffrisse sua nonna Maria (Stuarda): la porfiria. Non è un dato assodato, ma di certo molto dei suoi discendenti hanno avuto dei problemi che vi potrebbero essere ricondotti. Non l'avevo mai vista, e sinceramente non trovo nel suo viso le tracce di questa bellezza leggendaria che dovrebbe aver fatto girare la testa a Federico V.


La fame fa capoccella perché camminare stanca. Colazione al sacco, perché il ristorante Vatel che si trova all’interno del castello costa una mezza chiappa a testa, tagliata vicina all’osso. Andiamo a prenderci delle patate fritte dalla signorina col baracchino fuori del castello, io ho la mia scorta di frutta e verdurine varie nello zaino, giusto per non ingozzarmi solo di fritturone sintetico. Però la gaufre con la chantilly non potevamo rifiutarla, io l’ho voluta con la mousse al cioccolato ma ho capito troppo tardi che è meglio mangiarla a velocità della luce: col calore della cialda la panna tende a squagliarsi, e se non te la slurpi di corsa ti scappa dal waffle a gambe levate (ammesso che sia lecito immaginare che la panne ne possa avere). Lo dico perché mi sono ritrovato la mano glassata di mousse al cioccolato in via di squaglio, in puro stile fantozziano; è stato in quei momenti che si è manifestato il tormentone della vacanza grazie ad Alice che citava la signorina Silvani: “Fantozzi… punti sul 27. Il numero dei miei anni”. Frase che di per sé non significa nulla, ma nessun tormentone ha senso preso a sé. E mi spiace demolirvi un dogma, ma ci sono rimasto un tantino male anch’io: Vatel e la chantilly non si sono mai conosciuti manco per sbaglio, quanto meno all’epoca di Vatel si usava la panna montata ma nessuno s’èra inventato di chiamarla così; inoltre, nella famosa festa che costò la vita a Vatel non troviamo menzione dell’uso della panna montata, né nel racconto fatto da m.me de Sévigné alla figlia né nella cronaca della Gazette, di suo molto particolareggiata.


La prima menzione di un qualche cosa che fosse “à la chantilly” è del 1750, ma è proprio in una festa data dal Louis-Joseph de Bourbon-Condé di cui sopra che ci viene data menzione di un dessert con la panna montata. Ce lo racconta nei suoi carinissimi mémoires Henriette de Waldner, baronessa d’Oberkirch, l’episodio reca la data del 1784: Vatel aveva anche già bello che fatto i vermi, ed erano morti pure quelli.


M.me d’Oberkirch ci descrive anche una delle casette dell’hameau di Chantilly, che al giorno d’oggi è rimasta tal quale:



“[…] La cena è stata servita all’Hameau, pittoresca riunione di costruzioni campestri nel giardino inglese. La più grande delle capanne è tappezzata all’interno di foglie e di verzura e l’esterno è circondato di tutto quello che può essere necessario a un buon lavoratore. È in questa chaumière, che ha una sola stanza in ovale, che si cenò a una decina di piccole tavole dai dieci ai dodici coperti ciascuna. Era comodo, allegro, senza cerimonie e perfettamente bene immaginato […]”

Torniamo al castello accomodandoci all’ingresso degli appartamenti privati aspettando la nostra guida. La quale guida arriva pimpante perché è un ragazzo giovane, sulla ventina, che di tanto in tanti incespica nelle frasi come se avesse una robusta ansia da prestazione. Rassicurati, nel gruppo non ti morde nessuno: solo noi siamo pericolosi ma siamo in vacanza, quindi non belligeranti. Marie Noëlle è lontana anni luce, Tata Lucia mille miglia, Madame Hu hu è solo dall’altra parte del cortile, ma tant’è… Suivez-moi ha studiato la parte, ma si sente: quando s’interrompe ha difficoltà a riprendere il filo del discorso, però ha un certo talento da guitto televisivo che salta fuori quando fa le mossette (gli mancava solo il saltino come Alberto Sordi ne “Il medico della Mutua” e “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue”) o quando ci ha detto: “E per fare come Stéphane Bern: suivez-moi!”. Le stanze tengono fede al proprio nome, sono davvero a misura di famiglia e non di rappresentanza: dimensioni minori, più facili da riscaldare -nonostante a fine ‘800 non fosse più difficile come una volta-, decori meno suntuosi ma non per questo trascurati (il gusto è soggettivo), dotati perfino di stanze da bagno con comodità moderne come la “chaise à l’anglaise”, ossia il nonno del water con l’acqua corrente. Ne avevamo vista una anche a Fontainebleau, installata per Madame Adélaïde (la sorella di Luigi Filippo); Marie Noëlle ci faceva notare che lei avrebbe anche voluto un piccolo ascensore per collegarla al suo appartamento al piano sovrastante, ma che Pippogigio disse no da quel bottegaro che era: “Sorellina… ona… accia…, passi spendere per le stanze da parata ma non butto quattrini per farti fare la cacca!” più o meno. Una cosa che spicca su tutto è l’attaccamento per la famiglia del Duca d’Aumale, che era legatissimo alla moglie, sua cugina plurima Maria-Carolina di Borbone-Napoli, tanto che dopo essere rimasto vedovo fece tappezzare in viola il suo boudoir; ma Aumale era anche un bravo figliolo, e troviamo Pippigigi e Marie Amelie ovunque. Era anche un bravo papà che ebbe la sventura di vedere morire tutti i suoi figli uno dopo l’altro, e per questo legò per testamento tutto il dominio di Chantilly, collezioni comprese, all’Institut de France; d’altronde ipotizzava che l’eredità ricevuta dal prozio fosse maledetta e che la morte dei figli ne fosse una conseguenza. Durante la visita il nostro amico Suivez-moi accenna alle armi degli Orléans, che sono ovunque, del resto Aumale era il padrone di casa e una pioggia di monogrammi HO e di scudetti azzurri con tre gigli d’oro e uno strafanto d’argento non potevano certo mancare, ma aveva detto che quella cosa sopra i tre gigli era una corona disegnata al contrario che rappresentava il fatto che simboleggiava la caduta degli Orléans, sovrani rovesciati dal trono nel 1848. Ti dici che magari è una baggianata infilata lì, tanto perché non sapeva come andare avanti col discorso, ma poi quest’affermazione è saltata fuori di nuovo nella galleria in legno, detta la Loggia, che ci porta all’uscita sono dipinte le armi delle famiglie che possedettero il castello lungo i secoli con uno stile finto cinquecentesco voluto dal Duca d’Aumale. “Vi ricordate, vi ho detto che questo simbolo rappresenta la caduta degli Orléans”. Come no, stella… non t’investo come un trattore impazzito solo perché mi pare brutto farti fare una figura da chiodi davanti a tutti, ma se tu lavorassi per me ti avrei crocefisso in sala mensa, alla Fantozzi.
Lo strafanto di cui sopra è una pezza araldica chiamata lambello, e costituisce la più nobile delle brisure, dove brisura è il termine indicante che quell’elemento modifica le armi ereditate; così il lambello è di usato di frequente per indicare che quello che vediamo è lo stemma di una branca cadetta: per saperlo basta che Suivez-moi vada a sfogliare un qualsiasi manuale di araldica in vendita alla boutique del castello (oh, pardon… adesso va di moda dire bookshop). Tecnicamente le armi degli Orléans si blasonano: d’azzurro a tre gigli d’oro, al lambello d’argento o (più semplicemente) di Francia al lambello d’argento. Tanto per fare un esempio, Monsieur Gaston, il fratello di Luigi XIII, portava le stesse armi due secoli e mezzo circa prima della caduta di Pippogigio; lo troviamo anche sulle monete con la sua effigie: Gaston, così come sua figlia la Grande Mademoiselle dopo di lui, aveva il diritto di battere moneta poiché principe sovrano dei Dombes, terra entrata in famiglia grazie alla prima moglie, Marie de Bourbon-Montpensier. Senza contare che basta un minimo di buon senso: dove lo trovi un ebete che ritenga opportuno inserire un segno nel proprio marchio di fabbrica per ricordare ai posteri che è stato trombato dal popolo? Va bene che Pippogigio era un pusillanime, ma est modus in rebus.


La passeggiata nel parco è movimentata dalla solita pioggia, che cade a tratti. Una cosa simpatica, piove per duecento metri, poi basta per mezzo minuto, poi ripiove: le nuvole piccarde sono birichine. Ripariamo nel tempietto dell’isola dell’amore, astuti come dei cervi: la struttura è un treillage di legno e nemmeno troppo ben conservata, però è tanto bellina. Non manca lo show con la pashmina, che è diventato lo sport preferito del gruppetto: stavolta Alice Callipigia si esibisce imitando la statua di Venere nel tempio dedicatole (a Venere, non all’Alice). Il lato bello del parco è che stavolta le fontane funzionavano, forse perché è stato un anno piovoso: di solito durante la stagione secca (vedi a cavallo tra loglio e agosto) non le fanno andare per via della penuria d’acqua. Il lato brutto è che pioveva, maledetta la Rivoluzione, e quando ha cominciato a venire giù più fitta abbiamo preferito andare alle scuderie per poi scappare a Parigi. Nelle scuderie sono conservate anche due carrozze, una costruita per il Principe di Condé per l’incoronazione di Carlo X, l’altra è stata usata come calesse di caccia dalle due imperatrici (la Pina e la Gigia) e da Maria Amelia, detta Falqui.


Richiamiamo il nostro taxi e torniamo a Parigi, in direzione Montmartre: prevista passeggiata e cena in un posticino a scelta. Io non so, sarà che son pigro... sarà che ero stanco... sarà che se faccio il turista lo faccio fino in fondo... ma perché, benedette figliole, non usiamo la funicolare per salire sul montarozzo? Il biglietto è anche compreso nel pass della metropolitana, e voi no... su a piedoni per un'interminabile parete gremita di gente che cazzeggia e si avvinazza con barili di aperitivi di vario genere. Seduti, loro. Noi arrancanti, e loro seduti e beati. Per fortuna ha smesso di piovere, e valeva la pena di avere sputato mezzo polmone per arrivare ai piedi del Sacre Coeur per fotografare l'arcobaleno su Parigi.


Tenghi, Fantozzi. Li punti sul 27… il numero dei miei anni…




Edited by Maurº - 21/12/2014, 20:38
 
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Arciduca /Arciduchessa

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Divertentissimo il resoconto, come sempre!! :)
Molto belle anche le foto; bellissimo il ritratto di Elisabetta Stuart: il vestito, le collane esagerate, il suo sguardo. In effetti non è molto bella, ma è molto elegante. Cosa non darei per vedere com'erano veramente queste donne che venivano definite delle bellezze, ma dai ritratti non sembrano niente di che, come molte delle maitresse di Francia (a partire da quelle di Francesco I, ad es.)...

Che bellezza quelle pareti violette: stranissime, ma non ho capito il perchè della scelta di questo colore: scusa la mia ignoranza... :unsure:
Tra l'altro, bellissimo l'accostamento dei vasi azzurri sul caminetto!

Molto bella anche l'ultima foto con l'arcobaleno!
Bravo!! :)

Edited by reine Claude - 16/11/2014, 18:12
 
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view post Posted on 16/11/2014, 15:56
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Marie-Antoinette

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Aumale ha scelto il colore per arredare a lutto il boudoir della moglie dopo essere rimasto vedovo
 
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Arciduca /Arciduchessa

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CITAZIONE (Maurº @ 16/11/2014, 15:56) 
Aumale ha scelto il colore per arredare a lutto il boudoir della moglie dopo essere rimasto vedovo

E' vero, il viola è il colore del lutto, non ci avevo pensato. Sarà che è uno dei miei colori preferiti, insieme al verde, e non l'ho collegato a questo significato.

Comunque grazie al tuo resoconto del castello di Chantilly, mi hai fatto venire voglia di vederne altre immagini. E' veramente bellissimo!!
Tutte le stanze hanno tappezzerie e mobili dal gusto squisito!

CITAZIONE
So che è fasullo, o meglio che non è la costruzione originale, ma mi piace molto; è lontano dall’essere soffocante o ossessivo come la parte antica di Versailles, o vasto e dispersivo come le gallerie del Louvre. Ha delle dimensioni da castello, non è una bicocca eppure ha un’atmosfera raccolta e intima, nonostante la presenza di una folla di turisti, ivi comprese le sosia ucraine di zia Assunta e della Tata!

Ma il Grand Parterre Le Notre è una delle parti originali ed è più antico del giardino che avete visto voi, vero? L'avete visto?
So che è una delle più belle creazioni del famoso "giardiniere"!
 
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Marie-Antoinette

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CITAZIONE (reine Claude @ 16/11/2014, 18:05) 
Comunque grazie al tuo resoconto del castello di Chantilly, mi hai fatto venire voglia di vederne altre immagini. E' veramente bellissimo!!
Tutte le stanze hanno tappezzerie e mobili dal gusto squisito!

Se uno ha del tempo, ti serve poco meno di una giornata tra spostamenti e girarlo ben bene tutto, lo consiglio sempre; le collezioni d'arte sono molto interessanti, vantano di essere seconde solo a quelle del Louvre per qualità.

CITAZIONE
Ma il Grand Parterre Le Notre è una delle parti originali ed è più antico del giardino che avete visto voi, vero? L'avete visto?
So che è una delle più belle creazioni del famoso "giardiniere"!

Certo! È meno articolato di quanto possa essere quello di Versailles, meno adorno anche (ma Luigi XIV aveva una certa smania di strafare che ai Condé non è che mancasse ma avevano di sicuro più misura nel far le cose), ma è immenso. Questa foto è una veduta aerea che ho recuperato dal sito ufficiale del castello:



Il giardino inglese data dalla restaurazione, ed è realizzato su una parte del parterre di Le Nôtre distrutta durane la rivoluzione

Il giardino anglo-cinese e l'Hameau sono del 1774
 
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view post Posted on 16/11/2014, 20:32
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Marie-Antoinette

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Devo dire che dal vivo perde un po' la sua bellezza il giardino del castello di Chantilly. Non perché non sia davvero bello, anzi, il disegno è elegantissimo. L'unico problema è che non c'è assolutamente modo di vederlo così bene come nella foto appena postata! Il punto più alto, che è il piazzale del castello, è comunque troppo basso per donare una visuale degna. Per dare un po' l'idea, ecco una foto che ho scattato qualche settimana fa (l'ho fatta dalla terrazza erbosa, in alto a sinistra nella foto di Mauro). Dal punto centrale del piazzale, sopra la scalinata, non ho scattato foto perché non c'era inquadratura che fosse soddisfacente... :( L'insieme, però, è davvero meraviglioso; passeggiare nel giardino è molto rilassante e il castello è davvero una chicca (tra l'altro, adoro i castelli che si specchiano nell'acqua!).



Da quello che ho potuto vedere fino ad ora, il giardino più bello di Le Nôtre ed anche più godibile come fruizione è quello di Vaux-le-Vicomte. Sviluppandosi praticamente in una dolce vallata, lo si può osservare in tutta la sua bellezza da molte e varie posizioni. Queste le ho scattare due settimane fa.

Vista dal pianterreno del castello


Stessa vista al tramonto


Viste del castello dal giardino a distanze variate












Queste sono solo le viste assiali, ma anche fotografato dal giardino stesso l'effetto è veramente incantevole:



Spero che a Mauro non dispiaccia quest'intermezzo fotografico su Vaux, visto che non c'entra col suo diario :)
 
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view post Posted on 16/11/2014, 20:51
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Marie-Antoinette

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No, a me non dispiace neanche un po'... però potresti approfittarne per mettere su un topic sui tuoi viaggi :P
 
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view post Posted on 17/11/2014, 08:29
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Arciduca /Arciduchessa

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CITAZIONE
Certo! È meno articolato di quanto possa essere quello di Versailles, meno adorno anche (ma Luigi XIV aveva una certa smania di strafare che ai Condé non è che mancasse ma avevano di sicuro più misura nel far le cose), ma è immenso

CITAZIONE
Il giardino inglese data dalla restaurazione, ed è realizzato su una parte del parterre di Le Nôtre distrutta durane la rivoluzione

Il giardino anglo-cinese e l'Hameau sono del 1774

Grazie di queste ulteriori informazioni!

E grazie anche a Johnatan per le bellissime foto postate!!

CITAZIONE
Da quello che ho potuto vedere fino ad ora, il giardino più bello di Le Nôtre ed anche più godibile come fruizione è quello di Vaux-le-Vicomte. Sviluppandosi praticamente in una dolce vallata, lo si può osservare in tutta la sua bellezza da molte e varie posizioni. Queste le ho scattare due settimane fa.

Bellissime le foto e spettacolare il luogo, sia il castello che i "giardini"!!
Molto bella la seconda foto di Vaux-le-Vicomte alla luce calda del tramonto e la terza, con il castello in primo piano!
 
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view post Posted on 17/11/2014, 21:00
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Arciduca /Arciduchessa

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Ringrazio Mme Anne e Reine Claude per i complimenti alle foto...grazie e Vive la Reine!
 
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view post Posted on 17/11/2014, 23:08
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Arciduca /Arciduchessa

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CITAZIONE (Alessandro Sabaini @ 17/11/2014, 21:00) 
Ringrazio Mme Anne e Reine Claude per i complimenti alle foto...grazie e Vive la Reine!

Alessandro (Ale) ... a.k.a. Celeborn?
Ma perchè non scrivi più???

Quando ho scoperto questo forum, mi divertivo tantissimo a leggere le tue discussioni, sempre dettagliatissime e allo stesso tempo piene di ironia (quanto quelle di Mauro)!! :)
 
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view post Posted on 17/11/2014, 23:18
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Arciduca /Arciduchessa

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Grazie troppo gentile (Sì Celeborn36 ero io)
 
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view post Posted on 18/11/2014, 13:09
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Aleeeeee!!! :wub:
 
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view post Posted on 18/11/2014, 15:13
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Marie-Antoinette

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CITAZIONE (LadyReading @ 18/11/2014, 13:09) 
Aleeeeee!!! :wub:

Fuffi, ti sei mossa dall'Empireo? :P

Edited by Maurº - 19/11/2014, 06:47
 
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