L'ho buttato giù un po' alla carlona, per i miei gusti: chiudete un occhio su un eventuale italiano traballante
Con il termine “Guerre di religione” in Francia si intende una serie di ben otto conflitti tra cattolici e protestanti, che nella seconda metà del ‘500 misero il regno a ferro e fuoco; in questi conflitti si inserirono gli interessi di tre grandi casate (che potevano avere esponenti sia cattolici sia protestanti), i Borboni, i Guisa ed i Montmorency che lottavano per conquistarsi il controllo politico del paese.
Le idee di riforma di Lutero contavano diversi seguaci in Francia, che vennero perseguitati fin dagli anni dopo il 1520, ma fu poi verso la metà del secolo che la lotta si fece più cruenta, iconoclasta, e divenne anche un conflitto politico verso la fine del regno di Enrico II, momento in cui le prese di potere dei grandi feudatari si mescolavano con le idee religiose: l’Editto di Nantes mise fine alle guerre di religione, garantendo ai protestanti piazzeforti, dei luoghi in cui praticare il proprio culto, dei luoghi in cui, al contrario, il culto cattolico era vietato ma anche altri in cui era messo al bando il protestantesimo. La sua revoca dell’Editto da parte di Luigi XIV diede il via a nuove persecuzioni, terminate con l’Editto di tolleranza di Luigi XVI.
La Francia attraversava un periodo economicamente difficile, in cui lo stato era si trovava con le casse svuotate, e aveva fatto ricorso al solito sistema: presiti, vendita di cariche pubbliche e aumento delle imposte; assistiamo quindi ad un innalzarsi progressivo dei prezzi, all’arricchimento della borghesia e all’impoverimento dei ceti più deboli, ma la situazione colpisce anche la nobiltà di provincia, i cui redditi derivavano direttamente dalle proprie terre (ossia dai contadini); aggiungiamo una crisi monetaria dovuta all’ingente flusso di argento che gli spagnoli portavano dalle americhe. La riforma luterana venne vista non solo a livello religioso, ma anche come foriera di novità sul piano sociale, e vi aderirono borghesi, operai, artigiani, e una parte della nobiltà; si diffuse specialmente al sud, mentre al nord attecchì molto poco.
Dobbiamo anche considerare che all’epoca l’assolutismo monarchico aveva portato ad una situazione tale da vedere diversi gruppi sulla scacchiera politica: da un lato la borghesia, socialmente in ascesa e favorita dal potere regio stesso; era comodo avere una classe che favorisse le esportazioni francesi e cercasse di limitare le importazioni e che cercasse di dare un po’ di ossigeno e movimento ad un’economia che stava stagnando, e che all’occorrenza potesse prestare un po’ di soldi alla corona, alle volte anche in cambio di un annobilimento veloce. Dall’altro lato i grandi feudatari come i Borboni, i Guisa, i Valois ed altri legati alla corona ricoprendo uffici e cariche importanti, molte nel Consiglio del Re, sia civili sia militari, e dotati di una fortissima influenza politica, ma tutto sommato che mal vedevano l’accentramento del potere nella persona del Re, memori dei propri fasti passati. La piccola nobiltà era lo scalino successivo di questa gerarchia, legata alle grandi famiglie da una rete inestricabile di alleanze e clientelismi, fatta di interessi e di speranze di “riscossa”, di miglioramento per cui un nobile di campagna si votava al servizio di un grande signore ottenendo in cambio protezione e, si sperava, la possibilità di un innalzamento o di un semplice arricchimento. Ma mentre la grande nobiltà non era molto favorevole alla centralità del potere, la piccola nobiltà di spada e la nobiltà di toga erano nettamente dalla parte del regime, chiaramente ognuna per i propri interessi: la prima perché era impegnata in larga parte nell’esercito, che era il braccio indispensabile del potere regio; la seconda perché composta da persone che si erano guadagnate la patente nobiliare nell’amministrazione dello stato: un corpo quindi molto fedele al re ed alle proprie origini borghesi, ed in costante arricchimento.
I prodromi della lotta iniziarono sotto il regno di Francesco I, che considerava la dottrina protestante nefasta per l’autorità reale, e dal 1534 perseguitò apertamente i protestanti: in quell’anno furono affissi in diverse città dei manifesti contro il credo cattolico e l’Eucaristia. Il regno di Enrico II inasprì la situazione, con tanto camere ardenti e di roghi, e alla sua improvvisa morte nel 1559 vedevano una Francia in guerra contro la Spagna –cattolicissima, e che sosterrà i Guisa-, i due partiti ultraconvinti di essere i soli a poter salvare il regno perché detentori della vera fede e una guerra civile alle porte.
Tre famiglie tenevano d’occhio lo sviluppo dei fatti e preparavano la propria corsa al potere: per primi i Borbone, primi principi del sangue, e i più vicini “ai gradini del trono”, discendenti diretti da Robert conte di Clermont, figlio di San Luigi IX; contava esponenti ugonotti come Louis I di Borbone-Condé e suo figlio Henri, o come Antonio di Borbone e suo figlio Enrico di Navarra, futuro re Enrico IV e figura di spicco del periodo e della famiglia stessa.
Dopo i Borbone abbiamo i Montmorency, antica e potente famiglia che ha dato alla Francia personaggi del calibro di François de Montmorency, Maresciallo e Gran Maestro di Francia, Henri II di Montmorency, Ammiraglio e maresciallo di Francia, oltre che viceré del Canada, ma soprattutto il conestabile Anne de Montmorency (padre del François di cui sopra), Maresciallo e Gran Maestro di Francia, che fu amico di Francesco I ed ebbe una grande influenza su Enrico II. Anche i Montmorency avevano membri sia cattolici sia ugonotti, ma fecero fronte comune per opporsi ai Guisa, trasformando di fatto la guerra di religione in una questione familiare, quasi una faida, nella quale ebbero la peggio.
E per finire, i Guisa: cattolici, cugini del duca di Lorena, si illustrarono grazie a Claudio e Francesco di Lorena, che furono i due primi duchi di Guisa, e a Maria Stuarda, che era figlia di Maria di Guisa, a sua volta figlia del duca Claudio I di Guisa; elementi influenti nel periodo furono anche il cardinale Carlo di Lorena, il duca Enrico di Guisa detto “lo Sfregiato”, e suo fratello Carlo II di Lorena, duca de Mayenne. LA regina Caterina cercò di abbassare il oro potere, ma essi riuscirono a cacciare Enrico III da Parigi, e furono i veri vincitori delle guerre.
La situazione si fece rovente con la morte di Enrico II e, durante l’effimero regno di Francesco II e Maria Stuarda vediamo il trionfo del partito cattolico dei Guisa, con gli zii della regina al potere. Gli ugonotti si sollevarono, e la tensione sfociò nella congiura di Amboise e nella morte dello Sfregiato di Guisa.
La situazione cambia con la morte di Francesco II: data la minore età del re, la reggenza viene affidata a Caterina de’ Medici. Per inciso, è d’uso che la reggenza del trono vada alla madre, se vivente, e per evitare che sia troppo lunga la maggiore età del Re fu fissata a 14 anni; fu proprio per il caso specifico di Carlo IX che il Parlamento interpreto le massime della tradizione specificò “14 anni COMPIUTI”, mentre fino ad allora il re si considerava maggiorenne a 14 anni “pieni”, cioè al compimento dei 15 anni. Caterina cerco di arrivare ad una intesa tra i due partiti, ma fallì miseramente per via delle troppo forti diversità ed animosità delle posizioni. Caterina de' Medici promulgò un editto nel 1562, l'Editto di Gennaio, che proclamava la libertà di coscienza e di culto per i protestanti, a patto che restituissero i luoghi di culto cattolici dei quali si erano appropriati in un modo o nell’altro.
Nel marzo di stesso anno il duca Francesco di Guisa commisi un’azione violenta che diede il via alla prima guerra di religione, trucidando 37 protestanti intenti alla celebrazione del loro culto, beandosi al suo rientro a Parigi di ricevere richieste di una crociata contro gli ugonotti. La reazione non si fece attendere, e Condé sollevò gli ugonotti che si impadronirono di Orléans; Caterina cercava ancora un colloquio ma il Guisa la “rubò”, presentandosi alla testa delle sue truppe a Fontainebleau e obbligando Caterina e il giovane Carlo a seguirli a Parigi, ufficialmente per scortarli in sicurezza, in realtà per far credere che appoggiassero il suo partito. Questo scatenò l’offensiva degli ugonotti, che si impadronirono di piazze come Rouen e Lione, depredando e distruggendo le chiese cattoliche al loro passaggio; i cattolici iniziarono una contro offensiva fatta di assedi alle città cadute in mano ai protestanti, sia sul fronte Loira-Normandia, dove cercavano di recuperare Rouen, sia in Linguadoca dove riprendono Tolosa, e nel sud-ovest, dove in Guaina il governatore Blaise de Montluc riesce ad avere ferocemente ragione della rivolta del sire di Duras.
In tutto questo l’Inghilterra di Elisabetta I non rimane certo alla finestra a guardare, ed appoggia l’esercito protestante, che a parte sui suoi capi nobili esperti nell’arte della guerra e su alcuni mercenari tedeschi poteva contare solo gente del popolo, addestrata a ben altro che a maneggiare le armi.
A fine del 1562 i cattolici vincono la battaglia di Dreux, ma lasciano sul terreno il maresciallo Jacques d'Albon de Saint-André, ed in entrambi i campi vengono fatti prigionieri illustri: il principe di Condé è preso dai cattolici ed il connestabile Anne de Montmorency dai protestanti. Nelle fila dei cattolici contiamo anche Antonio di Borbone e Francesco I di Guisa, agli assedi di Rouen e di Orléans. Caterina colse l’occasione della morte dei maggiori capi dei due schieramenti per cercare di ristabilire la pace: dai negoziati con il Condé si ebbe l'Editto di Amboise del 19 marzo 1563, con cui si autorizzavano gli ugonotti non nobili a seguire il proprio culto soltanto in un ben determinato per ciascun distretto amministrativo, mentre i nobili potevano farlo nelle proprie residenze. Gli ugonotti restituirono Rouen, Orléans e Lione ai cattolici.
Caterina era una donna di fine intelligenza, e perfettamente conscia che la pace sarebbe stata precaria, tra cattolici invasati contro gli eretici ugonotti e protestanti che, avendo diritti minori di cattolici si sentivano cittadini di serie B, ed un parlamento che recalcitra cercando di non registrare l’editto di Amboise; la regina quindi iniziò un viaggio in tutta la Francia per fare incontrare il quattordicenne Carlo IX con i sudditi, e per mostrare al popolo come la Corona fosse l’unico baluardo di stabilità ed unità.
Dopo una pace fragile durata quattro anni l’editto di Amboise mostra tutta al sua debolezza, e la situazione crolla, mentre l’ascesa e le ambizioni del piccolo Duca d’Angiò, futuro Enrico III, fanno lasciare la corte al principe di Condé, che se ne va sbattendo la metaforica porta.
La situazione estera non era da meno, con una rivolta iconoclasta nelle Fiandre accompagnata da dei tumulti della nobiltà locale, che Filippo II pensò bene di sedare spedendo un esercito per punire i rivoltosi. Esercito che procedeva piedon piedoni lungo la frontiera francese, e che al re di Francia non dava alcuna sicurezza… e che quindi decise di levare dei battaglioni svizzeri, per ogni evenienza. Questo destò i sospetti degli ugonotti, perché temevano fosse un risvolto delle trattative di Caterina con il Duca d’Alba, emissario degli spagnoli, che pensavano tramassero ai loro danni. Il giorno 28 settembre 1567 il principe Luigi di Condé mise in scena un atto analogo a quello già fatto dal Guisa, e cerco d’impadronirsi della famiglia reale con la forza: è passata alla storia con il nome di Sorpresa di Meaux. Caterina fondava le sue speranze di una pace proprio sul Condé, quindi decise di non perdonare quello che per lei era un tradimento e ricorse alla forza, col risultato che gli ugonotti del sud si misero in armi contro l’esercito reale.
Condé stabilisce il proprio quartier generale a Saint-Denis col preciso intento di prendere Parigi per fame, ma il connestabile Anne de Montmorency gli dà battaglia –che però gli costa la vita-, e gli ugonotti vengono respinti. Dopo poco riceveranno dall’estero dei rinforzi dall’Elettore Palatino Federico III, mentre i cattolici avranno l’aiuto delle truppe del duca di Nevers dall’Italia. Per il resto fu più una guerra d’attesa che di scontri: il duca d’Angiò cercava di dar battaglia agli ugonotti e attendeva i rinforzi dalla Sassonia e dal Piemonte, ma Condé e l’ammiraglio Gaspard de Coligny dal canto loro temporeggiavano, aspettando i rinforzi dal Palatinato; alla fine, dopo la presa da parte degli ugonotti di Blois e Chartres, tutti si accorsero di aver essere rimasti senza il becco di un quattrino e decisero di firmare una tregua: la pace di Longjumeau (22 marzo 1568).
La calma durò pochetto, anche perché la reggente Caterina non aveva più alcuna fiducia nel principe di Condé: entrambe le parti ebbero il tempo di riorganizzarsi al meglio, e a fine luglio dello stesso anno i cattolici cercarono di catturare i più importante esponenti degli ugonotti: il principe di Condé e l’ammiraglio de Coligny, ma che sfuggirono alle trappole e trovarono riparo a La Rochelle. Gli ugonotti apettavano, tanto per cambiare, rinforzi dall’estero: il principe d’Orange e il duca di Zweibrücken, peraltro finanziato da Elisabetta I. Va da sé che i cattolici dovessero ricevere anche loro aiuti dall’estero: da Sua maestà Cattolicissima Filippo II e da sua Santità Papa Pio V. L’evento maggiore della guerra fu la morte del principe di Condé nella battaglia di Jarnac, cui succedettero su nomina di Coligny a capi degli ugonotti Enrico di Condé, figlio del morto, ed Enrico di Navarra, futuro re Enrico IV… l’ammiraglio però non rinunciò al comando vero e proprio; intanto Zweibrücken supera i confini della Francia, devasta la Borgogna e supera la Loira. A questo punto Carlo IX si presenta ad Orléans, mentre Caterina va a dare man forte ad Enrico, e dopo la morte del duca di Zweibrücken, Coligny riesce a vincere un’altra battaglia coi cattolici, per poi venire sconfitto ad ottobre. Le truppe reali, sostenute dalla presenza del re, della reggente e del duca d’Angiò, assediano la Rochelle, ma tra l’inverno che avanza e i soldi che sono finiti un’altra volta, si arriva ad una pace: la capitolazione di Saint-Jean-d'Angély il 3 dicembre 1569. Le imprese di Coligny nel sud portarono alla firma della della pace di Saint-Germain, l’8 agosto 1570: gli ugonotti acquistavano così quattro piazzeforti, ossia Cognac, La Rochelle, Montauban e La Charité-sur-Loire.
Altro periodo di pace effimera, ed arriviamo al culmine dell’assurdo: il massacro di San Bartolomeo, il 24 agosto 1572, che scatena la quarta guerra di religione. Visto che politicamente non c’è nulla di meglio di un bel matrimonio per mettere una pietra sopra a tante cose Caterina inventa il matrimonio tra la figlia Margherita di Valois e Enrico di Navarra. Caterina sapeva benissimo che si sarebbero presentati a Parigi moltissimi capi e nobili ugonotti, e pensò bene di farli fuori tutti in un colpo solo (una massima attribuitale è “Se l’uccello sfugge alla rete taglia l’albero in cui si annida”: anche se fosse apocrifa dipinge bene il modo di agire e di pensare di questa donna scaltra). Il matrimonio avviene il 18 agosto 1572, nella notte del 23 agosto al mattino del 24 migliaia di ugonotti furono assassinati nelle loro case, sotto la direzione di quel simpaticone di Enrico di Guisa; tra le vittime si conta Gaspard de Coligny, pugnalato e scaraventato dalla finestra di casa sua. La strage non si limitò alla capitale ma infiammò anche le altre principali città della Francia, ma senza arrivare al risultato sperato: infatti la guerra riprese, per poi concludersi dopo il fallimento di un altro assedio di La Rochelle. E se nel sud gli ugonotti davano vita all' Unione dei Protestanti del Midi, nel nord i Guisa inventarono la Lega Cattolica o Lega Santa. L’U.P.M. si comportava come un vero e proprio governo ombra (la nostra situazione politica degli ultimi anni non ha inventato nulla, in effetti): esigeva imposte, tasse e balzelli, organizzava Stati generali, levava truppe ed aveva intenzione di trattare con la Corona. Dal canto suo, la Lega contava aderenti sia nobili sia borghesi, ma il suo controllo era saldamente in mano alla grande nobiltà, Guisa in testa, che aveva tutta l’intenzione di approfittare dello status quo per minare l’autorità reale.
Le guerre costavano immense fortune, le truppe di una parte e dell’altra seminavano morte e distruzione ovunque e le tasse aumentavano: impoverimento generale e nuove imposte acuivano l’animosità verso la famiglia reale.
Ad una parte dei cattolici, però, premevano più le conseguenze sul piano politico che su quello religioso: erano i moderati, chepensarono bene di allearsi al pestifero duca François d’Alençon, figlio minore di Caterina, sempre pronto a complottare ai danni dei fratelli. Il duca d’Angiò era uscito dalla Francia per andare a prendere possesso del trono di Polonia, e il piccolo Francesco sperava di levarlo di mezzo: la cosa curiosa è che al suo complotto si uniscono allegramente i Montmorency Ugonotti e suo cognato Enrico di Navarra. Gli aiuti esteri, come sempre, non mancano: Condé ne cerca in Germina e gli inglesi stanno per sbarcare in Normandia, comandati dal conte di Montgomery (lo stesso che uccise Enrico II in un incidente durante un torneo). Il complotto tuttavia fallisce, e prede illustri finiscono nelel galere reali: il maresciallo François de Montmorency, il maresciallo Artus de Cossé-Brissac, e lo stesso Gabriele di Montgomery; solo il governatore della Linguadoca Enrico I di Montmorency riesce a restare libero, sotto l’ala armata degli ugonotti. La guerra scoppia quando Enrico d’Angiò lascia il trono polacco per salire a quello di Francia col nome di Enrico III: la trattativa con Enrico di Montmorency per la liberazione del fratello Francesco fallisce, e il duca d’Alençon pensa bene di scappare, seguito a ruota qualche mese dopo da Enrico di Navarra. Tutto si conclude con Enrico III che, debitamente intimorito dalle truppe palatine che su richiesta di Condé minacciano Parigi, concede maggiore libertà ai protestanti con l’editto di Beaulieu, riabilitando la memoria di Coligny e, ovviamente, dando anche qualche cosina al proprio fratello.
L’editto piacque poco ai cattolici, che lo consideravano troppo favorevole agli ugonotti, che alzarono di nuovo le armi, per breve periodo, e che ebbero un accomodamento dall’editto di Poitiers, che limava un po’ quello di Beaulieu; un’altra guerra –la settima- passo attraverso l’indifferenza generale: più che i fatti di armi furono protagonisti i fatti di letto di Enrico di Navarra e della regina Margot, tanto che divenne nota come guerra degli amanti.
Nel 1584, visto che non aveva figli e che probabilmente non ne avrebbe avuti, Enrico III decise di riconciliarsi con l’erede presuntivo della corona: suo cognato Enrico di Navarra, Primo Principe del Sangue. I Guisa, che tanto per non farsi mancare nulla, vantavano pretese al trono, si misero in moto loro: la Lega Santa divenne una potenza di città confederate, nel nord, e costrinse Enrico III, che peraltro non si fidava assolutamente dei Guisa e della Lega, a mettere fuori causa gli ugonotti ed il loro capo Enrico: ma Enrico III era inaffidabile, e dopo poco fece assassinare il duca ed il cardinale di Guisa a Blois a fine 1588… salvo poi morire egli stesso sotto il pugnale di un monaco invasato, il 1 agosto 1589.
La corona passo sul capo di Enrico IV, che si ritrovò con un grosso problema tra le mani: che fare? E che farne? Con una metà del regno sotto il controllo della Lega Cattolica, Parigi che si era costituita in città autonoma, e Filippo II che mandava spagnoli a sostegno della capitale assediata. Nel sud le cose andavano meglio: le truppe reali sconfissero le forze della famiglia degli Joyeuse in Linguadoca, mentre Lesdiguières cacciava il duca di Savoia da Marsiglia e dalla Provenza.
Il colpo di genio di Enrico IV è la sua conversione al cattolicesimo (“Parigi val bene una messa”), che gli spalanca le porte di Parigi, e inconsciamente pone così il sigillo sull’ultima delle leggi fondamentali per la devoluzione della corona: il principio di cattolicità.
Dal cuore della capitale Enrico pensa a riprendersi il regno, e mentre dichiara guerra alla Spagna, batte la Lega in Borgona, ed ottiene atto di sottomissione dal duca di Mayenne e dal cardinal di Joyeuse. La Lega dei nobili si sfalda a poco a poco, solo alcuni irriducibili resistono: come il duca de Mercoeur, governatore della Bretagna, che accoglie lo sbarco delle truppe di Filippo II su suolo francese; Enrico va di persona a Nantes ed ottiene la resa di Mercoeur; e a Nantes emana il 13 aprile 1598 l'Editto omonimo.
Nel frattempo, essendo oramai senza forze sia Francia sia Spagna, si arriva ad una pace imposta più dallo sfinimento che dalla vittoria: la pace di Vervins, firmata il 2 maggio 1598 dalla Francia e dalla Spagna, che restituisce tutti i territori occupati e concluse le guerre di religione.