| Girovagando su internet, mi sono imbattuto in una storia della quale non ero a conoscenza. Si tratta del racconto scritto di mano da La Harpe. Raccontata anche da altre persone, è diventata uno dei miti misteriosi della rivoluzione
La profezia che il signor Cazotte fece a Parigi nel corso di un banchetto, costituisce senz'altro un esempio molto singolare di capacità divinatoria assai sviluppata. Dell’avvenimento in questione è stato rinvenuto il racconto nelle carte postume autografe di La Harpe, che fu membro della Regia Accademia delle Scienze di Parigi. E’ quello stesso La Harpe, dapprima ateo e libero pensatore, che, in prossimità della propria fine, si convertì così radicalmente da morire da buon cristiano. Ecco la descrizione di La Harpe : E’ come se fosse ieri, invece è accaduto ai primi del 1788. Eravamo a tavola in casa di uno dei nostri colleghi dell’Accademia, un uomo molto a modo e pieno d’ingegno. La numerosa compagnia comprendeva persone di ogni ceto sociale, gente di corte, magistrati, uomini di cultura, accademici e così via. Ci si era allegramente intrattenuti intorno a una tavola, come al solito, riccamente imbandita. Giunti al dolce, la Malvasia e il vino di Costanza accrebbero l’allegria e allentarono quei freni che neppure in seno alla buona società trattengono spesso la libertà entro i suoi giusti limiti. Pur di suscitare nella nobile brigata l’ilarità, si era giunti in quel mondo al punto che era lecito dire qualsiasi cosa. Chamfort ci aveva letto alcuni passi dei suoi racconti osceni e blasfemi. Le dame dell’alta nobiltà vi prestarono attenzione senza nemmeno schermirsi coi ventagli. Ad essi fece seguito un autentico profluvio di facezie sulla religione. Uno citava una tirata dalla Pulcelle, un altro rammentava quei versi filosofici di Diderot in cui si dice: “con le interiora dell’ultimo prete, strangolate l’ultimo re”.Tutti applaudirono. Un altro ancora, alzandosi in piedi, levò in alto il bicchiere colmo ed esclamò: “Sì, miei signori! Sono assolutamente certo che Dio non esiste, così come sono sicuro che Omero era un folle”. Ed era sicuro per davvero di entrambe le cose. A un certo punto, mentre si stava discutendo proprio di Omero e di Dio e alcuni ospiti spezzavano una lancia a favore dell’uno e dell’altro, il discorso si fece più serio. Ci si pronunciò con toni ammirati sulla rivoluzione volteriana e si concordò sul fatto che essa fosse la ragione principale della fama del suo autore. Egli aveva dato durevolmente la propria impronta al suo secolo e talmente copiosa era la sua produzione che lo si leggeva nelle anticamere come nei salotti. Uno degli ospiti ci raccontò con una Grande risata come il suo barbiere, mentre lo stava incipriando, gli avesse detto: “Vedete, mio signore, sebbene io non sia che un miserabile garzone di bottega non per questo sono più religioso di chiunque altro”. Sicché si concluse che la rivoluzione sarebbe inevitabilmente divenuta realtà e che superstizione e fanatismo avrebbero senz'altro dovuto far posto alla filosofia. Si calcolò quando tutto ciò sarebbe probabilmente accaduto e chi di quella compagnia avrebbe forse avuto la fortuna di vedere realizzato il regno della Ragione. I più anziani si rammaricarono del fatto di non poter nutrire alcuna speranza al riguardo. I più giovani, invece, si rallegrarono della possibilità che essi avevano di poter assistere di persona alla realizzazione di eventi talmente probabili. E ci si complimentò in particolar modo con l’Accademia, poiché essa aveva preparato la grande impresa e che pertanto doveva essere considerata il principale teatro, il centro propulsore della libertà. Uno solo degli ospiti non aveva preso parte a questa brillante conversazione, limitandosi a inserirvi qua e là a voce bassissima alcune battute di spirito su tutto quel nostro entusiasmo. Costui era il signor Cazotte, uomo amabile e originale, che sfortunatamente aveva un debole per le fantasticherie; uno di coloro che credono nelle illuminazioni che calano dall'alto. Orbene, prese la parola e disse seriamente: “Rallegratevi, signori miei! Sarete tutti testimoni di quella grande, sublime rivoluzione che desiderate tanto. Già lo sapete che mi dedico un poco alle profezie; vi torno dunque a ripetere che la vedrete tutti quanti”. “Per affermare ciò non occorre certo una dote profetica”, gli fu risposto. “E’ vero”, replicò Cazotte, “ma forse ce ne vuole una ben più grande per ciò che ho ancora da dirvi. Sapete che cosa deriverà da tale rivoluzione (in cui, ovviamente, la ragione trionferà sulla religione rivelata) e che cosa rappresenterà per tutti voi, per molti di quelli che sono qui presenti? Quale sarà la sua conseguenza immediata, il suo effetto incontestabile, ben chiaro a tutti quanti?”. “Sentiamo un po’”, disse Condorcet con aria ingenua; “a un filosofo”, continuò, “non dispiace incontrare un profeta”. “Voi, signor Condorcet”, aggiunse Cazotte, “renderete l’anima a Dio lungo e disteso a terra, in una segreta, ad opera del veleno che avrete trangugiato per sfuggire ai carnefici; un veleno che la fortuna dei tempi venturi vi costringeranno a portare con Voi”. Tutto ciò suscitò all'inizio un gran stupore; ma ben presto ci si ricordò che talvolta il buon Cazotte sognava a occhi aperti, così che tutti scoppiarono in una fragorosa risata. “Signor Cazotte”, disse uno degli ospiti, “la favola che ci avete poc'anzi raccontato non è certo divertente quanto il Vostro Diavolo in amore (Le diable amoureux è un breve e singolare romanzo scritto da Cazotte). Qual è dunque quel diavolo che vi ha parlato stavolta di carnefici, di veleni e di segrete? E che c’entra poi tutto questo con la filosofia e col regno della Ragione?”. “Ebbene, vi dico che c’entra, eccome”, replicò Cazotte. “Sarà, infatti, proprio in nome della filosofia, dell’umanità, della libertà e della ragione che farete questa fine. Non solo: di lì a poco la ragione regnerà incontrastata, tanto che avrà pure i suoi templi; ma vi dirò di più: in tale stagione non vi saranno in tutta la Francia altri templi che quelli”. “Una cosa è certa, però”, disse Chamfort con un sorriso beffardo, “in quel genere di templi sicuramente Voi non farete parte del novero dei sacerdoti!”. Cazotte ribattè: “Lo spero bene. Ma Voi, signor di Chamfort, che, al contrario, vi figurerete a buon diritto, vi taglierete le vene con ventidue colpi di rasoio. Tuttavia morirete solamente alcuni mesi più tardi”. A questo segno gli astanti si guardarono in faccia e scoppiarono di nuovo in risate. Cazotte, dal canto suo, continuò: ”Voi, signor Vicq-d’Azyr, le vene nemmeno ve le taglierete da solo ma ve le farete aprire per ben sei volte nel medesimo giorno, in preda a un attacco di podagra, per maggior sicurezza, e la notte stessa spirerete”. “Voi, signor Nicolai, morirete sul patibolo”. “E così pure Voi, signor Bailly; e Voi, signor Malesherbes”. “Grazie a Dio!”, esclamò il signor Roucher; “sembra che il signor Cazotte ce l’abbia solo con l’Accademia: ne ha appena fatto una bella strage. Io, grazie al cielo …”. “Voi?”, lo interruppe Cazotte. “Ci finirete pure Voi sul patibolo”. “Ah! Scommettiamo?”, esclamarono da ogni parte; “ha giurato di sterminare tutti quanti!”. E Cazotte: “No, non sono io che l’ha giurato”. Gli astanti: “Vorrà dire allora che finiremo sottomessi nientemeno che a Turchi e a Tartari?”. E lui: “Niente affatto; vi ho già detto che starete sotto il regno della Filosofia e della Ragione. Quelli cui vi riferite in tal modo, saranno tutti dei filosofi, masticheranno le stesse espressioni di cui vi riempite la bocca già da un’ora, ripeteranno le vostre stesse massime e citeranno, proprio come voi, Diderot e la Pulcelle”. Bisbigliarono alcuni: “E’ chiaro che è impazzito!”, dal momento che Cazotte aveva parlato serissimamente. Altri: “Non vi accorgete che sta scherzando?”. “Sì”, disse Chamfort, “ma devo confessare che questa maniera di sorprendere non la trovo affatto divertente, sa troppo di capestro. E quand’è che dovrebbe poi accadere tutto questo?”. E Cazotte: “Non saranno trascorsi sei anni che tutto quanto vi ho detto si sarà avverato”. “Quanti prodigi!”, dissi io (ovvero La Harpe), “e di me non dite nulla?”. “A Voi”, ripsose Cazotte, “succederà un miracolo non meno straordinario: vi farete cristiano”. Tutti rumoreggiarono. “Ora sto tranquillo”, esclamò Chamfort. “Se non moriremo prima che La Harpe si faccia cristiano, possiamo dire senz'altro ritenerci immortali”. “Noi che apparteniamo al gentil sesso”,disse allora la duchessa di Grammont, “siamo allora proprio fortunate a non aver nulla a che spartire con la rivoluzione. Se però dico nulla, ciò non sta a significare che non vogliamo intrometterci per quel tanto che basta, visto poi che non si usa affatto prendersela con noi e con il nostro sesso”. Lui: “Il vostro sesso, mie signore, non vi sarà stavolta di nessun aiuto;per quanto poco vogliate intromettervi, non verrà fatta alcuna eccezione al riguardo vostro”. “Ma cosa ci dite mai signor Cazotte! Non ci starete dunque predicando la fine del mondo!”. Lei: “In tal caso spero di avere una carrozza foderata di nero”. Lui: “No, Madame! Pure con le mani legate dietro alla schiena verranno condotte sulla carretta del boia dame più nobili di Voi”. Lei: “Come? Dame più nobili? Le principesse di sangue?”. Lui: “Più nobili ancora”. In quell'istante si notò chiaramente nell'intera compagnia una certa agitazione e il padrone di casa si fece scuro in viso; ci si cominciava a rendere conto che lo scherzo stava andando troppo oltre. Madame de Grammont, per disperdere la nuvolaglia, fece cadere un’ultima battuta e disse divertita nel più scherzoso dei toni: “Vedrete che non mi accorderà neppure il conforto di un padre confessore”. Lui: “No, Madame. Non lo daranno né a Voi né a chiunque altro. L’ultimo giustiziato che avrà per pietà un padre confessore …”. E qui si interruppe un istante. Lei: “Suvvia! Chi sarà mai quel fortunato mortale al quale verrà concesso un simile privilegio?”. Lui: “Sarà l’unico privilegio che ancora gli rimarrà; questi sarà il re di Francia”. A questo punto il padrone di casa si alzò di scatto da tavola e con lui tutti gli altri. Si avvicinò al signor Cazotte e gli disse in preda a una grande agitazione: “Mio caro signor Cazotte, questo biasimevole scherzo è durato abbastanza. Voi state andando oltre il segno, sino al punto di mettere nei guai non solo Voi stesso ma anche la compagnia in cui vi trovate!”. Cazotte non ribattè affatto e già stava per andarsene, quando Madame de Grammont, tentando di evitare che la cosa venisse presa sul serio, tutta preoccupata di far tornare l’allegria, gli si avvicinò e gli disse: “Ebbene, signor profeta, Voi ci avete predetto il futuro ma non ci avete detto nulla sul destino vostro”. Cazotte tacque, chiuse gli occhi e poi disse: “Voi Madame avete letto la storia dell’assedio di Gerusalemme in Giuseppe ?”. Lei: “Certamente! E chi non l’ha letta? Ma faccia finta che io non la conosca”. Lui: “Suvvia, Madame! Durante quell'assedio un uomo si recò per sette giorni giorni consecutivi sui bastioni che circondavano la città e davanti agli assedianti e agli assediati gridò ogni volta con voce lamentosa: ‘Povera Gerusalemme! Povera Gerusalemme!’. E il settimo giorno: ‘Povera Gerusalemme! Povero me!. In quello stesso istante una gran pietra scagliata dalle catapulte nemiche, lo colpì a morte”.
Ciò detto Cazotte fece un inchino e se ne andò. Sin qui il racconto del signor La Harpe.
Ora si tratta di vedere se tutta questa storia corrisponda a verità o se sia stata semplicemente inventata dopo gli avvenimenti. La piena veridicità della profezia di Cazotte si ha nel fatto che tutte le persone presenti al banchetto hanno perso la vita così come è stato precognizzato in essa. L’ospite cui Cazotte non aveva predetto nulla, con tutta probabilità il duca di Choiseul, fu l’unico a morire di morte naturale. Il buon Cazotte venne invece ghigliottinato. A che cosa poteva servire tale invenzione? Certo non avrebbe potuto inventarla un libero pensatore, dal momento che essa sarebbe risultata in contrasto con tutti i suoi principi; essa, infatti, divulga idee di cui egli è nemico e che ritiene le più sciocche tra le superstizioni. Se poi si vuole avallare il fatto che essa sia stata escogitata da un fanatico con l’intento di sorprendere, è la natura stessa del racconto a vanificare tale ipotesi. Tale racconto, infatti, non ha i caratteri di una composizione poetica e inoltre la certezza che il buon La Harpe, membro illustre dell’Accademia di Francia, l’abbia scritto di suo pugno, la si ha nelle sue Oeuvres choisies et posthumes in 4 volumi in 8°, edite a Parigi nel 1806 presso Mignerel. Di certo non verrebbe in mente a nessuno che potrebbero essere stati i curatori degli scritti postumi di quest’uomo celebre ad attribuirgli qualcosa del genere, giacché nessuno si attenderebbe tanto da studiosi francesi e parigini. E’ dunque apoditticamente certo che si tratta di un racconto di La Harpe. Non solo: per i suddetti motivi egli non avrebbe potuto comporlo quando era ancora un libero pensatore. Del resto chi conosce quanto profonda sia stata la conversione di questo spirito libero, non può certo credere che, trovandosi egli sinceramente contrito, tanto da versare amare lacrime sul suo passato, possa aver commesso l’atto esecrando di inventare di sana pianta qualcosa del genere. Ciò è moralmente impossibile. Non era poi affatto raccomandabile divulgare questo fatto prima della morte di La Harpe, dati i tempi in cui morì e tanto meno lo poterono raccontare i suoi convitati prima della Rivoluzione o durante il suo corso. Al contrario, fu lo stesso La Harpe che, trovandolo, e a pieno diritto, un fatto estremamente importante, lo mise per iscritto e lo ripose nel suo scrittoio in attesa di tempi migliori. Un certo signor de N…., riferendosi alla straordinaria profezia del signor Cazotte, ha fatto pubblicare sui più noti giornali parigini di aver conosciuto molto bene quel rispettabile vegliardo e di averlo sentito spesso pronunciare grandi calamità che si sarebbero dovute abbattere sulla Francia in un momento in cui, oltretutto, il paese viveva ancora in piena sicurezza, senza averne il benché minimo sentore. Cazotte sosteneva che tali eventi futuri gli sarebbero stati rivelati da parte degli spiriti durante alcuni visioni. “Vi voglio raccontare un fatto strano”, continua de N…. , “già di per sé sufficiente ad attribuire al signor Cazotte la fama di profeta. Tutti sanno che la sua grande fedeltà alla monarchia gli causò il 2 settembre 1792 la detenzione all’Abbazia e che venne sottratto agli aguzzini solo grazie all’eroico coraggio della figlia, la quale riuscì a calmare la plebe infuriata con un commovente scena d’amore filiale. Quella stessa plebe che poco tempo prima voleva sgozzarlo ecco che di lì a poco lo portò in trionfo sino a casa. Tutti i suoi amici accorsero per congratularsi con lui del fatto di essere sfuggito alla morte. Il signor D…. che lo andò a trovare dopo quelle terribili giornate di sangue, gli disse: ‘Ora è salvo!’. ‘Credo proprio di no’, rispose Cazotte. ‘Fra tre giorni sarò ghigliottinato’. Il signor D…. replicò: ‘Come è possibile?’. E Cazotte: ‘sì, amico mio; fra tre giorni morirò sul patibolo’. Nel proferire queste parole ebbe un momento di profonda commozione; dopo di che egli aggiunse: ‘Poco prima del vostro arrivo ho visto un gendarme che mi veniva a prendere per ordine di Pétion. Obbligato a seguirlo, sono comparso dinnanzi al sindaco di Parigi che mi ha fatto condurre alla Conciergerie. E da lì sono stato tradotto davanti al Tribunale rivoluzionario. Quindi si renderà ben conto amico mio – ed è ciò che si desume dalla stessa visione del signor Cazotte – che è giunta la mia ora: ne sono tanto sicuro che altro non mi resta se non di sistemare tutti i miei affari. Eccole delle carte che mi stanno molto a cuore e che dovranno essere recapitate a mia moglie. La prego di consegnargliele e di consolarla’. Il signor D…. ritenne che tutto questo non fosse altro che follia e lo lasciò con la convinzione che la regione di Cazotte avesse sofferto alla vista di tutti quegli orrori da cui era sfuggito. Tornato però il giorno successivo, venne a sapere che un gendarme aveva portato il signor Cazotte alla municipalità. Il signor D …. Corse allora da Pétion, giunto in municipio, fu informato che il suo amico era stato condotto in carcere. Si precipitò là dov'era stato rinchiuso Cazotte ma gli dissero che non avrebbe potuto parlare con lui e che sarebbe stato giudicato dal Tribunale rivoluzionario. Apprese di lì a poco che il suo amico era stato condannato a morte e giustiziato. “Il signor D….”, aggiunse l’autore, “è un uomo che merita piena fiducia. Nel luglio 1806 era ancora in vita. Ha raccontato questa storia a numerose persone e non mi è sembrata cosa di poco conto serbarne il ricordo”. Qui termina l’articolo.
E’ bene ricordare che non fu solo Cazotte a predire nei minimi dettagli l’avvento della Rivoluzione e i suoi terribili esiti. Già nel 1775 un grande predicatore francese, Padre Beauregard preconizzò dal pulpito della cattedrale di Notre-Dame la profanazione delle chiese e l’abolizione delle festività da parte di seguaci di un’infame religione pagana che avrebbe sostituito al culto di Dio quella di una “Venere impudica”. Ecco i passi più salienti della profezia: “- Oh, Signore Iddio. Il Tuo tempio sarà saccheggiato e devastato, le Tue feste saranno abolite, il Tuo nome bestemmiato, il Tuo culto proscritto! Che odo, Dio mio! Che vedo! Invece degli inni in Tua lode di cui questo sacro luogo ha sempre risuonato, si canteranno qui profane, licenziose canzoni! E tu, infame dea del Paganesimo, tu, demoniaca Venere, tu hai l’audacia di entrar qui, usurpare il posto del Dio vivente, sederti sul trono del Santo dei Santi, e ricevere l’empia adorazione dei tuoi degni fedeli?” Secondo alcuni cronisti il famoso banchetto avrebbe avuto invece luogo alla fine del 1788 in casa di uno dei personaggi più ricchi e più in vista del regno, ossia del principe de Beauvau, Maresciallo di Francia, membro dell’Accademia.
Io non avevo mai sentito questa storia...informandomi, però ho scoperto che è stato anche scritto un libro che riprende il racconto di questa strana cena, fatto da La Harpe, dove l'autore si diverte a romanzare un pò e cambiando il finale. Vi posto anche la versione france di La Harpe :
Jean-François de La Harpe (1739-1803)
La prophétie de Cazotte
Il me semble que c'était hier, et c'était cependant au commencement de 1788. Nous étions à table chez un de nos confrères à l'Académie, grand seigneur et homme d'esprit; la compagnie était nombreuse et de tout état, gens de robe, gens de cour, gens de lettres, académiciens, etc. On avait fait grande chère, comme de coutume. Au dessert, les vins de Malvoisie et de Constance ajoutaient à la gaieté de la bonne compagnie cette sorte de liberté qui n'en gardait pas toujours le ton : on en était venu alors dans le monde au point où tout est permis pour faire rire.
Chamfort nous avait lu de ses contes impies et libertins, et les grandes dames avaient écouté sans avoir même recours à l'éventail. De là un déluge de plaisanteries sur la religion : et d'applaudir. Un convive se lève, et tenant son verre plein : « Oui, messieurs, s'écrie-t-il, je suis aussi sûr qu'il n'a pas de Dieu que je suis sûr qu'Homère est un sot. » En effet, il était sûr de l'un comme de l'autre; et l'on avait parlé d'Homère et de Dieu, et il y avait là des convives qui avaient dit du bien de l'un et de l'autre.
La conversation devient plus sérieuse; on se répand en admiration sur la révolution qu'avait faite Voltaire, et l'on convient que c'est là le premier titre de sa gloire : « Il a donné le ton à son siècle, et s'est fait lire dans l'antichambre comme dans le salon. »
Un des convives nous raconta, en pouffant de rire, que son coiffeur lui avait dit, tout en le poudrant :« Voyez-vous, Monsieur, quoique je ne sois qu'un misérable carabin, je n'ai pas plus de religion qu'un autre »
On en conclut que la révolution ne tardera pas à se consommer; qu'il faut absolument que la superstition et le fanatisme fassent place à la philosophie, et l'on en est à calculer la probabilité de l'époque, et quels sont ceux de la société qui verront le règne de la raison. Les plus vieux se plaignent de ne pouvoir s'en flatter, les jeunes se réjouissent d'en avoir une espérance très vraisemblable, et l'on se félicitait surtout l'Académie d'avoir préparé le grand oeuvre et d'avoir été le chef-lieu, le centre, le mobile de la liberté de penser.
Un seul des convives n'avait point pris de part à toute la joie de cette conversation, et avait même laissé tomber tout doucement quelques plaisanteries sur notre bel enthousiasme : c'était Cazotte, homme aimable et original, malheureusement infatué des rêveries des illuminés. Son héroïsme l'a depuis rendu à jamais illustre.
Il prend la parole, et du ton le plus sérieux : « Messieurs, dit-il, soyez satisfaits; vous verrez tous cette grande révolution que vous désirez tant. Vous savez que je suis un peu prophète, je vous répète : vous la verrez. »
On lui répond par le refrain connu : « Faut pas être grand sorcier pour ça. »
- Soit, mais peut-être faut-il l'être un peu plus pour ce qui me reste à vous dire. Savez-vous ce qui arrivera de cette révolution, ce qui en arrivera pour tous tant que vous êtes ici, et ce qui en sera la suite immédiate, l'effet bien prouvé, la conséquence bien reconnue?
- Ah! voyons, dit Condorcet avec son air sournois et niais; un philosophe n'est pas fâché de rencontrer un prophète.
- Vous, Monsieur de Condorcet, vous expirerez étendu sur le pavé d'un cachot, vous mourrez du poison que vous aurez pris pour échapper au bourreau, du poison que le bonheur de ce temps-là vous forcera de porter toujours sur vous.
Grand étonnement d'abord; mais on se rappelle que le bon Cazotte est sujet à rêver tout éveillé, et l'on rit de plus belle.
« Monsieur Cazotte, le conte que vous faites ici n'est pas si plaisant que votre DIABLE AMOUREUX; mais quel diable vous a mis dans la tête ce cachot, ce poison et ces bourreaux? Qu'est-ce que tout cela peut avoir de commun avec la philosophie et le règne de la raison?
- C'est précisément ce que je vous dis : c'est au nom de la philosophie, de l'humanité, de la liberté, c'est sous le règne de la raison qu'il vous arrivera de finir ainsi, et ce sera bien le règne de la raison, car alors elle aura des temples, et même il n'y aura plus dans toute la France, en ce temps-là, que des temples de la Raison.
- Par ma foi, dit Chamfort avec le rire du sarcasme, vous ne serez pas un des prêtres de ces temples-là.
-Je l'espère; mais vous, Monsieur de Chamfort, qui en serez un, et très digne de l'être, vous vous couperez les veines de vingt-deux coups de rasoir, et pourtant vous n'en mourrez que quelques mois après. »
On se regarde et on rit encore. « Vous, Monsieur Vicq-d'Azir, vous ne vous ouvrirez pas les veines vous-même; mais, après vous les avoir fait ouvrir six fois dans un jour, après un accès de goutte pour être plus sûr de votre fait, vous mourrez dans la nuit. Vous, Monsieur de Nicolaï, vous mourrez sur l'échafaud; vous, Monsieur de Bailly, sur l'échafaud...
- Ah! Dieu soit béni! dit Roucher, il paraît que monsieur n'en veut qu'à l'Académie; il vient d'en faire une terrible exécution; et moi, grâce au Ciel...
- Vous! vous mourrez aussi sur l'échafaud.
- Oh! c'est une gageure, s'écrie-t-on de toute part, il a juré de tout exterminer.
- Non, ce n'est pas moi qui l'ai juré.
- Mais nous serons donc subjugués par les Turcs et les Tartares? et encore!...
- Point du tout, je vous l'ai dit : vous serez alors gouvernés par la seule philosophie, par la seule raison. Ceux qui vous traiteront ainsi seront tous des philosophes, auront à tout moment dans la bouche toutes les mêmes phrases que vous débitez depuis une heure, répéteront toutes vos maximes, citeront tout comme vous les vers de Diderot et de LA PUCELLE... »
On se disait à l'oreille : « Vous voyez bien qu'il est fou (car il gardait le plus grand sérieux). Est-ce que vous ne voyez pas qu'il plaisante? et vous savez qu'il entre toujours du merveilleux dans ses plaisanteries.
- Oui, reprit Chamfort; mais son merveilleux n'est pas gai; il est trop patibulaire. Et quand tout cela se passera-t-il?
- Six ans ne se passeront que tout ce que je vous dis ne soit accompli...
- Voilà bien des miracles (et cette fois c'était moi-même qui parlais); et vous ne m'y mettez pour rien?
- Vous y serez pour un miracle au moins aussi extraordinaire : vous serez alors chrétien. » Grandes exclamations. « Ah! reprit Chamfort, je suis rassuré; si nous ne devons périr que quand La Harpe sera chrétien, nous sommes immortels.
-Pour ça, dit alors Mme la duchesse de Gramont, nous sommes bien heureuses, nous femmes, de n'être pour rien dans les révolutions. Quand je dis pour rien, ce n'est pas que nous ne nous en mêlions toujours un peu; mais il est reçu qu'on ne s'en prend pas à nous, et notre sexe...
- Votre sexe, Mesdames, ne vous en défendra pas cette fois, et vous aurez beau ne vous mêler de rien, vous serez traitées tout comme les hommes, sans aucune différence quelconque.
- Mais qu'est-ce que vous nous dites donc là, Monsieur Cazotte? C'est la fin du monde que vous nous prêchez.
- Je n'en sais rien; mais ce que je sais, c'est que vous, Madame la duchesse, vous serez conduite à l'échafaud, vous et beaucoup d'autres dames avec vous, dans la charrette du bourreau, et les mains liées derrière le dos.
- Ah! j'espère que, dans ce cas-là, j'aurai du moins un carrosse drapé de noir!
- Non, Madame, de plus grandes dames que vous iront comme vous en charrette, et les mains liées comme vous.
- De plus grandes dames! quoi! les princesses du sang?
- De plus grandes dames encore... » Ici un mouvement très sensible dans toute la compagnie, et la figure du maître se rembrunit. On commençait à trouver que la plaisanterie était forte.
Mme de Gramont, pour dissiper le nuage, n'insista pas sur cette dernière réponse, et se contenta de dire du ton le plus léger : « Vous verrez qu'il ne me laissera pas seulement un confesseur!
- Non, Madame, vous n'en aurez pas, ni personne. Le dernier supplicié qui en aura un par grâce sera... »
Il s'arrêta un moment. « Eh bien, quel est donc l'heureux mortel qui aura cette prérogative? - C'est la seule qui lui restera: et ce sera le roi de France. »
Le maître de la maison se leva brusquement, et tout le monde avec lui. Il alla vers M. Cazotte, et lui dit avec un ton pénétré : « Mon cher Monsieur Cazotte, c'est assez faire durer cette facétie lugubre; vous la poussez trop loin, et jusqu'à compromettre la société où vous êtes et vous-même. » Cazotte ne répondit rien, et se disposait à se retirer, quand Mme de Gramont, qui voulait toujours éviter le sérieux et ramener la gaieté, s'avança vers lui.
« Monsieur le Prophète, qui nous dites à tous notre bonne aventure, vous ne dites rien de la vôtre. »
Il fut quelque temps en silence et les yeux baissés.
« Madame, avez-vous lu le siège de Jérusalem dans Josèphe?
- Oh! sans doute; qu'est-ce qui n'a pas lu ça? Mais faites comme si je ne l'avais pas lu.
- Eh bien, Madame, pendant ce siège, un homme fit sept jours de suite le tour des remparts, à la vue des assiégeants et des assiégés, criant incessamment d'une voix sinistre et tonnante : Malheur à Jérusalem! malheur à moi-même! Et dans le moment une pierre énorme, lancée par les machines ennemies, l'atteignit et le mit en pièces. »
Et, après cette réponse, M. Cazotte fit sa révérence et sort
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