CITAZIONE (Almagnac @ 23/12/2016, 09:03)
E' un film da vedere (e dopo anni mi sa che lo rivedrò).
Solo la regia è una garanzia di qualità e gusto (parliamo di Luchino Visconti che mica è per peracottaro di Moccia).
I costumi sono meravigliosi e molto filologici dal mio punto di vista.
Le musiche poi, in buona parte del mio adorato Wagner, danno quell'atomosfera della Baviera del secondo '800. Una nazione oramai al suo tramonto (alla fine del secolo verrà fagocitata dall'impero germanico).
Romy Schneider ha smesso i panni della Sissi"machietta" dei tre film (che a me piacciano lo sesso per lo sfpttimento dei miei familiari) e ha fatto in modo di farla diventare una Sissi "matura", una sovrana del più grande stato (in disfacimento) d'Europa.
Helmut Berger è un Ludwig sempre malinconico che non guarda al presente e al futuro ma che si rinchiude in una sorta di sua Terra di Mezzo, un regno medieval- fantasy possiamo dire. Visconti dimostra (forse più del Gattopardo) in questo film una certa passione per un personaggio che i più vedono come uno pazzo che ha svuotato le casse del suo regno per futilità ma Visconti si chiede (e ci chiede) di guadare il re di Baviera con occhi diversi.Il regista più che mai in questo suo filone storico ha cercato di capire una personalità complessa ma senza condannarlo e la cugina Sissi è l'unica che comprende quel suo strano (per gli altri) cugino.
Quoto parola per parola, mi permetto solo di aggiungere una piccola nota per quanto riguarda i costumi: le creazioni di Tosi, per quanto sublimi possano essere, come molte altre creazioni dei costumisti italiani più celebri (es. Milena Canonero, Gabriella Pescucci, Danilo Donati) non sono mai propriamente filologiche, ma mirano sempre a dare una rappresentazione della moda delle epoche passate idealizzata in base ai canoni estetici della contemporaneità. È un vezzo da melodramma derivante dal fatto che molti di questi costumisti, Tosi in primis, hanno mosso i loro primi passi realizzando costumi per l'opera lirica (lo stesso Visconti nei primi tempi ha lavorato parecchio per il teatro). Non mi risulta che il Ludwig II storico portasse i pantaloni a zampa d'elefante o avesse un fisico eternamente efebico messo in risalto da giacche attillate che sembravano uscite dall'ultima collezione di Yves Saint Laurent.
La stessa scelta del cast sembra risentire di quest'estetica leggermente contemporaneizzata: oltre allo stesso Helmut Berger, anche Sonia Petrova o Marc Porel risultano
filologicamente parlando poco adatti al ruolo chiamati ad interpretare.
Ad esempio, questo è il Richard Hornig storico:
E questo è quello interpretato da Marc Porel:
Vi è una differenza notevole (p.s. non so voi, ma preferisco nettamente il primo), che però non abbassa affatto la qualità artistica dell'opera. Anzi, amo questo film proprio perché è un sontuoso melodramma realizzato negli anni '70 del XX secolo, impresso sulla pellicola, un'opera che dimostra come Visconti abbia saputo confrontarsi nel corso degli anni col medium espressivo da cui ha tratto gran parte della sua estetica, riadattandolo in chiave contemporanea.
Volevo giusto chiarire un'altra questione:
CITAZIONE
Visconti dimostra (forse più del Gattopardo) in questo film una certa passione per un personaggio che i più vedono come uno pazzo che ha svuotato le casse del suo regno per futilità ma Visconti si chiede (e ci chiede) di guadare il re di Baviera con occhi diversi.
Ottima osservazione. In effetti è palese, guardando oltre Ludwig anche
La caduta degli dei (in cui pure figura un ottimo Helmut Berger), l'interesse di Visconti per le vicissitudini che hanno scosso l'aristocrazia (prima quella dell'
noblesse d'épée, poi quella dell'oligarchia industriale) nel mondo germanico. Poi penso che con la figura di Ludwig II ci fosse una doppia immedesimazione dovuta ai conflitti interiori derivanti dall'essere omosessuali in un mondo, quello della nobiltà, in cui la prosecuzione della stirpe è fondamentale. Si può stabilire un triangolo con lo scrittore giapponese Mishima Yukio, che pure soffrì molto per questo motivo.
In generale la questione del disfacimento della gerarchia tradizionale della società tedesca tra fine '800 e inizio '900 è un argomento che affascinava parecchio Visconti, trattandosi di un'epoca permeata da un profondo senso di disfatta, di ossessione morbosa, che ben si prestava all'estetica post-decadente del regista, per non parlare dell' immedesimazione autobiografica. Oltre alla questione dell'omosessualità, lo stesso Visconti apparteneva a una grande famiglia nobile ormai in declino, in quell'Italia del Dopoguerra sempre più partigiana e sempre più amante della classe operaia. Vedasi anche
Morte a Venezia, per approfondire la questione.