Da “Vingt-cinq ans d’études dynastiques” di Hervé Pinoteau, Éditions Christian, 1982, pp. 216 e seguenti; l’autore commenta un articolo dal titolo “À propos d’un principe juridique” del principe Charles von Schwarzenberg pubblicato nel numero di giugno-luglio del 1960 di Rivista Araldica. Testo un po' lungo, ma che serve per fare chiarezzanel marasma di affermazioni contrastanti sulla successione al trono di Francia.
[…] Non abbiamo la presunzione di tenere un corso di diritto dinastico a un autore così conosciuto, soprattutto perché abbiamo, dopo tanti altri, scritto un libro che dimostra che le rinunce non valevano nulla in Francia. A questo rimandiamo i lettori eventuali (Monarchie et avenir, Nouvelles Éditions Latines, Paris 1960), ma non possiamo lasciar passare così facilmente delle parole che creano una confusione tra il diritto francese e quello degli altri paesi.
La differenza tra questi diritti era già sottolineata nel Medio Evo nei diversi dialoghi che mettevano alle prese, almeno su pergamena, gli araldi francesi e inglesi. Esiste in particolare tra la nazione e il re di Francia un matrimonio santo e politico, come si diceva nel XVI secolo, e non spetta né al Re né alla Nazione romperlo.
Fu così che il Parlamento di Parigi rifiutò di registrare l’abdicazione di Francesco I (editto di Madrid, novembre 1525) e quelle di Carlo X e del futuro Luigi XIX non esisterono nel diritto, e tutto rientrò nell’ordine con l’esilio; “Bordeaux” non fu Re che nel 1844, quando scrisse ai sovrani stranieri che diventava capo della Casa di Borbone, ossia Re di Francia senza titolo, alla morte di suo zio il Conte di Marnes.
Abbiamo già dato nel nostro libro le fonti giuridiche che fanno autorità in Francia, e indicheremo qui un frammento del corso di M. Jacques Ellul, Histoire des Institutions, tomo 2 (Paris, 1956), pag. 234: “Il re non può modificare questa successione di volontà propria… la Corona non è proprietà del Re. Il costume solo regola la successione, e un costume tale che le leggi dei re non possono né alterarlo né abrogarlo. La regalità è un ufficio pubblico, pertanto indisponibile. La legge sostituisce al sovrano defunto la persona del suo figlio maggiore, automaticamente. Questo si fa indipendentemente dalla volontà di uno e dell’altro… il re non può modificare l’ordine dei successibili (appello di un figlio cadetto, o di un figlio naturale al posto di quello legittimo); il re non può abdicare; il re non può designare un successore alla corona in caso di assenza di un successore legittimo; i successibili eventuali non possono rinunciare ai loro diritti. Sono degli eredi necessari, non possono rinunciare; ma anche, il successore non essendo un erede propriamente parlando, non è tenuto a onorare i debiti dei suoi predecessori.”. È chiaro!
Luigi Filippo I fece così dimostrare da Claude Giraud, giurista reputato e membro dell’Istituto di Francia, che le rinunce non sono valide (Le traité d’Utrecht, Paris, 1847): “Nessuno ha il diritto, e fortunatamente il potere, di mettere i propri eredi nello stato d’incapacità generale, e di dare un carattere di morte civile a tutta una serie di generazioni a venire. Delle clausole così esorbitanti sono forzatamente relegate nel dominio delle clausole di stile che non sono mai state considerate obbligatorie nel diritto comune dei popoli civilizzati dell’Europa.” (pag. 131). Innumerevoli sono in Francia testi del genere, che dimostrano che i re, i principi, i parlamenti e così via non hanno il diritto di manipolare il costume.
D’altronde, in altri paesi, hanno un effetto molto diverso secondo le epoche. Don Carlos II re di Spagna, vedendo che stava per morire senza figli, scrisse al papa Innocenzo XII per domandargli consiglio, poiché le Infante Anna e Maria Teresa avevano rinunciato sui vangeli che rinunciavano alla corona di Spagna diventando regine di Francia. Il papa, consigliato dagli eminenti giuristi della curia, rispose (Roma, 6 luglio 1700) che il Gran Delfino aveva molti figli, e che al maggiore sarebbe spettata la Francia e al cadetto la Spagna, nel nome dell’equilibrio europeo (generale Edward Kirkpatrick de Closeburn, Les renonciations des Bourbons et la succession d’Espagne, Paris, 1907, pag. 103 pubblica il testo della lettera in italiano). È a seguito di questa lettera che Carlo II fece testamento e che Filippo V salì al trono dei suoi avi. Il motivo che aveva implicato le rinunce (ossia la possibile confusione delle due corone sulla stessa testa) non esisteva più, le dette rinunce non avevano più valore. Beninteso, questo per il diritto spagnolo e non per quello francese. Secondo quest’ultimo, che qui non aveva nulla a che fare, le rinunce sono sempre nulle, così come viene insegnato in tutti i corsi di storia del diritto francese.
I nostri re hanno sempre considerato che i figli del re di Spagna erano come Figli di Francia. Gli Infanti ricevevano le insegne dell’Ordine dello Spirito Santo alla nascita, e le potenze che aveva ottenuto le rinunce del trattato di Utrecht non ci vedevano nulla di strano. La cosa era tanto più curiosa in quanto questi Infanti non erano che Nipoti di Francia, e che il re voleva onorarli come sui propri figli (Saint-Simon, Mémoires, edizione Chérul, Paris, 1865, t. 9, cap. 6, pag. 67). I nostri re hanno considerato, esattamente come i re di Spagna dopo Filippo V, che la Casa di Francia (o di Borbone) era una sola casata, attraverso tutti i suoi rami. La corrispondenza diplomatica, il famoso patto di famiglia (Parigi, 15 agosto 1761), mostrano che il Re di Spagna ed il re delle Due Sicilie fanno parte dell’”augusta Casa di Francia” della quella il re cristianissimo di Francia è il capo, che piaccia o no ai nostri attuali teorici.
È per questo che se volgiamo essere oggettivi dobbiamo considerare che l’augusta Casa di Francia, composta da tutti i successibili di razza capetingia, è stabilita in Francia, in Spagna (con una sottobranca di Parma), nelle Due Sicilie, in Lussemburgo e in Brasile. Beninteso, ci saranno nei numerosi successibili al trono di Francia diversi diritti che agiranno in maniera diversa. Cosa che, giustamente, nessuno vuol capire.
Prima di tutto, ci sarà il diritto francese, il vecchio diritto capetingio, che agirà sui successibili qualunque sia la loro nazionalità; ci saranno dunque successibili francesi, spagnoli, apolidi, lussemburghesi, brasiliani, e così via. Per essere dinasti è sufficiente che queste persone siano discendenti da Ugo Capeto (praticamente da Luigi XIII) attraverso matrimoni canonicamente validi per la Santa Chiesa Romana. I matrimoni morganatici e ineguali, o anche non autorizzati, non esistono in diritto capetingio, perché il re, o un principe, o ancor meno una collettività, non possono privare della successibilità delle persone che discendono da un successibile capetingio. Con che diritto, del resto? Eliminare i successibili per matrimonio ineguale sarebbe rivoltare l’automaticità della legge cosiddetta salica. In più, bisogna anche capire che i successibili alla corona di Francia possono essere altezze reali, o semplici titolati, o anche non avere titolo alcuno. È così che esistono per la corona di Francia dei successibili spagnoli che in Spagna non hanno titolo; principi del sangue di diritto, seguono, in quanto cittadini di un altro paese, le titolature (cose del tutto relative e superficiali) ed i costumi del loro paese attuale.
Ci sarà anche un diritto spagnolo, che regolerà la successione alla corona di Spagna. È allora che appariranno (secondo il diritto instaurato da don Ferdinando VII e la rottura della prammatica semi-salica del 1713) dei dinasti spagnoli non Capetingi, per esempio i principi di Baviera Infanti di Spagna. La legge spagnola regge anche i principi di Parma, in quanto il duca di Parma era prima di tutto Infante di Spagna (vedere la sua titolatura), non era sovrano e non aveva ambasciatori. Se ne evince che le regolamentazioni dei re Carlo III e Carlo IV si applicheranno a loro, e che i principi (non tali secondo il diritto spagnolo) nati da unioni ineguali, non saranno iscritti nella lista dei dinasti spagnoli ma sono successibili in Francia. È bene anche notare che le disposizioni di Carlo III e Carlo IV, relativamente ai matrimoni, non sono così draconiane come si dice. Queste disposizioni esistono solo perché il re di Spagna possa vietare, interdire, un’unione troppo scandalosa o ineguale. Ma quando ha dato la sua autorizzazione ad un’unione, anche ineguale, è manifesto che i discendenti di questo matrimonio sono dinasti.
Vi è anche un diritto siciliano: differente dallo spagnolo, è fondato sulla prammatica di Carlo III che lasciava le Due Sicilie ad un figlio cadetto, a condizione che il regno non cadesse in mano ad un re di Spagna a la principe delle Asturie. Non perché il re di Spagna e suo figlio maggiore siano indegni di portare corone nuove, ma perché l’equilibrio europeo mostra che ciò è preferibile per la pace, la tranquillità e l’ordine della cristianità. Per chi vuole essere obiettivo, è palese che questo diritto è precisato in diversi atti del XIX secolo e che questi atti mostrano che i successibili vedono i loro matrimonio regolati dalla volontà del re delle Due Sicilie, e non dalla prammatica sanzione di Carlo III relativa ai matrimoni, in quanto il re delle Due Sicilie è sovrano nei suoi stati.
C’è anche un diritto lussemburghese regolato dal costume e dalla legge costituzionale del granducato (articolo 3), così come un diritto brasiliano fondato sulla costituzione dell’impero del Brasile e sul costume successoriale portoghese.
È così che, ad esempio, un principe del Lussemburgo è soggetto ai diritti lussemburghese, francese, spagnolo, e perfino siciliano (vedi prammatica sanzione di Carlo III).
È così ancora che un principe come don Juan III de Borbòn y Braganza che fu re di Spagna alla morte di suo fratello Carlo VI poté dimettersi dalla corona di Spagna secondo il diritto spagnolo (Parigi, 3 ottobre 1868), diventare per i Carlisti S. M. C. il re padre (viveva ritirato senza alcuna ambizione) e Sua Maestà Cristianissima Giovanni III, Re di Francia e di Navarra, alla morte di M. il conte di Chambord. Si proclamò anche capo della Casa di Borbone con un proclama del quale troviamo il testo in: Jaime del Burgo, La princesa de Beyra y el viaje de Custine, Pamplona, 1946, pag. 57.
È evidente che i nostri re hanno sempre considero che le rinunce non valessero nulla neanche negli altri paesi. Malgrado l’abbandono dei reami italiano, possiamo vedere figurare alle esequie di Enrico IV le bandiere di Sicilia, Gerusalemme e Milano (tra le altre). I nostri re non sollevano certi problemi successoriali quando non v’è alcuna urgenza di farlo, ma quando c’è una possibilità politica di farlo proclamo le loro pretese. La pace della cristianità val bene dei silenzi, ma quando l’occasione si presenta, con prudenza, gli archivi vengono rastrellati, delle memorie vengono scritte e si vede il re, ignorando le rinunce, esplicite o implicite, ridomandare tale o tal atra corona. È una questione di opportunità politica.
Totalmente differente è la rinuncia a dei territori. Queste avvengono generalmente con dei trattati internazionali destinati a concludere delle guerre. Benché il re di Francia non possa di diritto (vedi il giuramento della consacrazione) alienare la terra francese, è successo che i nostri re abbiano dovuto assistere a delle diminuzioni del loro territorio; tra questi il Canada, come nota il principe Charles von Schwarzenberg. Ma è evidente che i nostri re hanno sempre fatto di tutto per annullare clausole simili. Ci si ricorderà che contrariamente al disastroso trattato di Madrid la Borgogna non fu assegnata all’imperatore Carlo V, poiché nemmeno gli Stati di borgogna volevano entrare in una combinazione del genere. Il re aveva giurato, il giorno prima della firma del trattato, che non si sarebbe sentito legato da quello che stava per firmare.
Lo stimabile autore che è il principe Charles von Schwarzenberg non dovrebbe mischiare il diritto divino a questa storia di rinunce, perché non vi ha nulla a che fare.
Abbiamo mostrato, seguendo Watrin, S. A. R. il principe Sesto di Parma, la Perrière e altri, che tutti i re di Francia, ed anche il re Luigi Filippo I, erano per la successibilità in Francia dei discendenti di Filippo V re di Spagna. Enrico V e i giuristi che erano attorno a lui (Blanc de Saint-Bonnet, Maumigny, Coquille, etc. )erano per gli “Angiò”. L’assemblea nazionale costituente fece iscrivere nella costituzione del 1791 che non si intrometteva nel problema delle rinunce, facendo così cadere le pretese della fazione orleanista capeggiata da Mirabeau.
Luigi XIV stesso, che aveva domandato immediatamente a Filippo V di rinunciare (poiché la Francia era in ginocchio, e le potenze nemiche facevano di queste rinunce la condizione sine qua non per la cessazione delle ostilità), diceva nel 1714 che queste rinunce non valevano nulla. Per contro, ed è quello che il principe Charles von Schwarzenberg non può ben capire, Luigi XIV diede la direzione dei suoi affari al duca d’Orléans, come primo successibile di nazionalità francese. Il re non voleva complicare la gestione della politica dei sui successori alla testa degli affari dando la reggenza ad un re di Spagna lontano migliaia di chilometri. È semplice buon senso. Ma se Filippo V fosse arrivato, senza armi, alla frontiera per reclamare i propri diritti, tutti l’avrebbero riconosciuto come reggente. Non dimentichiamo che Luigi XIV, poco sicuro del Duca d’Orléans, aveva organizzato un potere ridotto rispetto a quello che tradizionalmente hanno i reggenti,ma il parlamento di Parigi cancellò tutto questo.
Quando Luigi XVI volle protestare contro tutto quello che gli imponeva la rivoluzione, scelse come recipiendario dell’atto il re Carlo IV di spagna, come “capo della seconda branca”. Gli spagnoli facevano parte della famiglia, dunque. I Francia si sapeva. Non lo si sa quasi più. A torto, dobbiamo dire. Gli stranieri sono quindi scusabili per aver dimenticato totalmente il vero diritto francese, fondamentalmente differente da quello degli altri paesi. […]
Edited by Nefer Snefru - 1/2/2012, 14:28