| Per quanto riguarda l'inchino dal balcone anch'io sono propensa a darlo per vero, anche se le vostre analisi non fanno una piega, tutte sono convincenti e plausibili, nessuno potrà mai sapere che cosa è successo esattamente, le memorie non sono sempre attendibili al 100% per vari motivi. le memorie di Sans on, che per il suo "lavoro" probabilmente aveva molto da farsi perdonare durante la Restaurazione spesso non le trovo attinenti ai fatti. Ad esempio, sulle'esecuzione di Maria Antonietta, la versione è presentata troppo ammorbita sia per le parole che usa che nella descrizione dei fatti. Quando il boia si recò dalla regina la mattina del 16 ottobre, i biografi generalmente presentano la scena come abbastanza rude, le mani le vengono legate troppo strette, tanto che alla povera regina salgono le lacrime agli occhi dal dolore. Ma la versione del boia è un pò diversa:
".....Mentre la ragazza usciva per andare a cercare la veste, Maria Antonietta la pregò di portar pure un paio di forbici. Quest' ultima domanda sollevò difficoltà; i gendarmi non volevano permettere che si consegnasse alla condannata uno strumento che nelle sue mani poteva divenire un'arma. Fu convenuto che la figliuola del portinaio avrebbe tagliato i capelli della regina in presenza del padre e dei due guardiani.
Mio nonno aveva passato la notte al tribunale rivoluzionario; all'uscita della seduta egli stava alla porta del gabinetto di Fouquier; questi, avvertito della sua presenza, gli fece dire d'entrare. C'erano là il presidente Herman e parecchi magistrati. Fouquier chiese subito a mio nonno se le disposizioni per la « festa » fossero compiute; di questa parola si servì. Avendogli Carlo Enrico Sanson risposto che a lui incombeva aspettare le decisioni del tribunale e non prevenirle, Fouquier lo trattò brutalmente con la sua solita violenza e gli disse tra altre cose che forse egli avrebbe rimpianto un giorno di non aver prevenuto una decisione che concerneva certo cattivo patriota di sua conoscenza. Il colloquio volgeva male; per mettervi fine, mio nonno sollecitò l'ordine di requisire una vettura chiusa, simile a quella che aveva condotto il re al patibolo. Questa domanda mise Fouquier-Tinville fuor dei gangheri; egli rispose a Carlo Enrico che aveva meritato di andar lui stesso alla ghigliottina per aver osato fare una simile proposta : una carretta era ancora troppo buona per condurre a morte l'Austriaca. Ma altri presenti osservarono che prima di decidere su cosa tanto importante sarebbe stato pur buono sentire l'opinione di qualche membro del Comitato. Dopo tre quarti d'ora si ebbe la risposta di Robespierre e di Collot; entrambi dichiararono che la cura di queste disposizioni spettava soltanto a Fouquier-Tinville. Restò dunque deciso che la regina non avrebbe goduto del privilegio di Luigi XVI, e che sarebbe andata al patibolo con la carretta dei criminali ordinari.
(....)Vedendo mio nonno e la sua scorta, ella si levò e fece un passo per andare incontro agli esecutori; ma si fermò un istante per abbracciare teneramente la figliuola del portinaio. Mio nonno e mio padre s'erano tolto il cappello; molti dei presenti salutarono.
Prima che alcuno di loro avesse il tempo di prender la parola, Maria Antonietta si avanzò e disse con una voce breve che non tradiva alcuna emozione : - Sono pronta, signori; possiamo partire. Carto Enrico Sanson le fece osservare che era necessario che certe precauzioni fossero prese; Maria Antonietta si voltò, e mostrandogli la nuca da cui erano stati tagliati i capelli -- Va bene così? - domandò. E gli porse le mani perchè le legasse.
(.....)Tanto compatta era la folla che il cavallo non poteva avanzare. Vi fu un momento di confusione così terribile che mio nonno e mio padre, i quali stavano sul sedile anteriore della carretta si levarono in piedi e si collocarono a difesa di Maria Antonietta. La scena durò due o tre minuti. Mai, mi ha ripetuto più volte mio padre, Maria Antonietta s'era mostrata più degna del suo altissimo grado. Nell'abiezione in cui la si era ridotta, ella giungeva con la sola forza della sua anima a comandare il rispetto a cuori incapaci di ogni pietà.
.(............)Giungendo sulla piazza della Rivoluzione, la carretta si fermò proprio dinanzi al grande viale delle Tuileries: per qualche istante la regina rimase sprofondata in una contemplazione dolorosa; ella ebbe un grande pallore, i suoi occhi s'inumidirono, e la si sentì mormorare con voce sorda : - Mia figlia! figliuoli miei! Nel momento che ella pose piede a terra, sostenuta da mio nonno e da mio padre, Carlo Enrico Sanson, chinandosi verso di lei, le disse a bassa voce: - Coraggio, signora. La regina si volse bruscamente, e quasi stupita di trovare un accento di pietà in colui che doveva metterla a morte, gli rispose --- Grazie, signore, grazie. Il tono non era alterato, la parola rimaneva ferma e vibrante.
Mio padre voleva continuare sorreggerla nei pochi passi che la separavano dalla ghigliottina; ella rifiutò dicendo - No; avrò la forza, grazie a Dio, di andare fin là. E mosse con un passo uguale, senza precipitazione nè lentezza, e salì i gradini con tanta maestà come se fossero stati i gradini della grande scalea di Versailles. (...) L'abate Lothringer l'aveva seguita fino a quel momento con le sue esortazioni inutili; mio padre lo respinse dolcemente per abbreviare alfine lo straziante supplizio.
Gli aiutanti s'impadronirono allora della vittima. Mentre la attaccavano sull'asse mobile, ella alzò gli occhi verso il cielo e gridò a voce alta - Addio, miei figliuoli; vado a raggiungere vostro padre. Ella aveva appena pronunciato queste parole, che già l'asse mobile era messa in posizione e la lama precipitava sulla sua testa.
Grida di «Viva la Repubblica» risposero allo scatto della lama : grida circoscritte alla immediata vicinanza del patibolo. Allora Granimont, che agitava la spada come un energumeno, ordinò ripetutamente a Carlo Enrico Sanson di mostrare la testa al popolo. Uno degli aiutanti fece il giro del patibolo con quell'orrendo trofeo, in cui le palpebre erano ancora agitate da un fremito convulsivo.
Henry Sanson, il boia di Parigi.
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