Faccio qualche nota ad alcune delle immagini postate da Elena (molto belle e pertanto le lascerei, anche se le indicazioni non sono corrette) e ai "pericoli" prodotti dal web (che ha sempre due rovesci della medaglia: la possibilità di diffondere cultura ovunque e a costo zero da un lato, la veicolazione di informazioni sbagliate, talvolta anche volutamente tali, dall'altro).
Partiamo, per esempio, dalle figure del Cappellone degli Spagnoli. Quei dettagli provengono da una complessa allegoria sul Trionfo dell'Ordine domenicano, in cui è raffigurata tra le altre cose la
Via Veritas, che va letta da destra a sinistra e in ordine ascendente. Attraverso la predicazione, il genere umano (le figure piccine) abbandonano i piaceri mondani e riescono a raggiungere il Paradiso. Le quattro figure solenni dovrebbero essere personificazioni proprio della mondanità e qualcuno, con non so quanta precisione, ha ipotizzato che siano dei vizi: Superbia (falcone), Lussuria (scimmia), Invidia (abito verde). Per la figura musicante leggo che è stato genericamente fatto il nome del Piacere. Non ho mai letto grande bibliografia in merito, però, in linea di massima, l'interpretazione mi sembra genericamente abbastanza plausibile.
Veniamo alla questione dei ritratti. Ma chi l'ha detto che le due figure centrali sono Bernabò e Regina? Ho provato a fare varie ricerche incrociate sul web e non mi pare che si trovi qualcosa in bibliografia (su google libri per esempio). Credo di conoscere la risposta (ma ne parlo dopo, anticipo solo che è una risposta "tedesco-australiana").
Giorgio Vasari, che non conosceva Andrea di Bonaiuto e aveva allo stesso tempo il disperato bisogno di trovare opere di uno dei più celebri artisti medievali, Simone Martini (la firma della Maestà in Palazzo Pubblico ai tempi dello storico e artista aretino era coperta), pensò di attribuire a lui gli affreschi del Cappellone (e con grandissima intelligenza di conoscitore attribuì al "suo Simone" anche tre affreschi del Camposanto di Pisa, che sono, invece – lo sappiamo dai documenti – di Andrea).
Altro bisogno che aveva Vasari era trovare più ritratti possibili di personaggi illustri del passato. Chi abbia letto le
Vite, frequentemente avrà appunto trovato indicazioni che permettono di "riconoscere" i ritratti di Tizio, Caio e Sempronio in grandi campagne pittoriche. Talvolta (è il caso del "ritratto" di Giotto nella Cappella della Maddalena nel Bargello), l'identificazione aveva alle spalle una tradizione consolidata, altre volte (e più spesso) si tratta verosimilmente di spensierate invenzioni del nostro.
Proprio in questi affreschi di Andrea, Vasari individuò due nomi famosissimi e legati a Simone Martini: Laura e Petrarca.
In cielo si vede la gloria de' Santi e Iesù Cristo, e nel mondo quaggiù rimangono i piaceri e ' diletti vani in figure umane e massimamente di donne che seggono, tra le quali è madonna Laura del Petrarca ritratta di naturale, vestita di verde, con una piccola fiammetta di fuoco tra il petto e la gola. Èvvi ancora la Chiesa di Cristo e alla guardia di quella il Papa, lo Imperadore, i Re, i Cardinali, i Vescovi e tutti i Principi cristiani, e tra essi, a canto a un cavalier di Rodi, messer Francesco Petrarca ritratto pur di naturale: il che fece Simone per rinfrescar nell'opere sue la fama di colui che l'aveva fatto immortale.Questi affreschi sono datati alla metà degli anni Sessanta. Va bene che Bernabò non godesse in quel momento di buona fama, va bene che Firenze proprio allora iniziasse ad osteggiare l'espansionismo milanese (ma è niente in confronto all'odio che verrà portato verso Gian Galeazzo), ma pretendere dal nulla – perché non c'è uno straccio di prova, né di tradizione, anche se fallace – che tra quelle personificazioni ci siano Bernabò e Regina mi sembra estremamente improbabile (di nuovo, temo che la risposta sia quella "tedesco-austrialiana").
Seconda immagine da analizzare: il ritratto di Valentina Visconti (in questo caso l'ipotesi tedesco-australiana so che non c'entra niente). Non so quale sia la fonte per questa identificazione, che ho trovato soltanto su wikipedia, mentre sulla banque images della BnF leggo qualcosa di ancora più confusionario («Portrait héraldique d'une fille du duc de Milan Jean-Galéas Visconti (Béatrice ?) portant armoiries et cimier à la guivre des Visconti»). Chiaramente lo schedatore ha fatto un gran pasticcio, perché l'unica figlia di Gian Galeazzo è Valentina, mentre Beatrice è una figlia spuria di Galeazzo II.
L'immagine proviene dalla prima carta da un manoscritto che contiene il
De natura deorum e il
De divinatione di Cicerone (BnF, ms. lat. 6340).
L'unica illustrazione, in apertura, è questa dama che regge lo stemma visconteo, per il resto troviamo soltanto cornici vegetali e lettere miniate. Il manoscritto è bolognese (datato al decennio 1370-80) e fu in seguito acquistato da Gian Galeazzo; la miniatura, infatti, chiaramente di gusto lombardo, è un'aggiunta fatta fare dal duca. La data non è nota ma è desumibile: ultimissimi anni del Trecento/primissimi anni del Quattrocento (entro il 1402, data della morte del duca). La dama, infatti, indossa già il tipo di houppelande che andava di moda in quel periodo (la stessa di Ilaria del Carretto), con il caratteristico collo stretto a calice. Il manoscritto è documentato nella biblioteca di Pavia nel 1499, anno in cui è prelavato (insieme a tanti altri), da Luigi XII (nipote di Valentina), che lo porta a Blois.
L'identificazione della eterea damina con Valentina non ha alcun senso. È un'epoca in cui i ritratti miniati compaiono sempre e soltanto in dei contesti molto precisi: il dono dell'opera (notissimi i manoscritti di Christine de Pizan), scene cerimoniose (con sovrani e principi inginocchiati davanti a raffigurazioni sacre).
La dama reggistemma è semplicemente un vezzo grazioso tardogotico (e il lat. 6340 non è l'unico che presenta una raffigurazione di questo tipo). Per esempio, nell'inventario funebre di Valentina troviamo «un libro in gran volume, coperto di cuoio rosso, dove nella prima guardia vi è una dama raffigurata armeggiata alle armi del defunto Monsignore e di Madame d'Orléans, con due fermagli d'argento dorato, sui quali è scritto
Ave Maria». Sicuramente un'immagine molto simile alla nostra in cui, però, lo stemma è bipartito: Francia col lambello d'argento da una parte, Milano dall'altra, come in questo frontespizio. Questo, invece, raffigura proprio la nostra Valentina: per quanto stilizzata, è l'unica immagine che ci sia giunta di lei (nonostante ne siano documentate altre). Si tratta di un'opera appositamente scritta per la duchessa e donatale dal priore Honoré Bonet poco dopo il 1396, anno in cui la duchessa è costretta ad esiliarsi da Parigi, dopo essere stata ferocemente attaccata e accusata di aver stregato col veneficio il povero re pazzo, il cognato Carlo VI, che trovava rari momenti di quiete solo in compagnia dell'amatissima "sorella". Trovo commovente che siano stati proprio scrittori e poeti a difendere la colta duchessa (tra gli altri Christine de Pizan, che la loda nella
Cité des Dames perché si occupò personalmente dell'educazione dei figli, e Eustache Deschampes).
Veniamo ai dipinti di Giovanni Ambrogio de Predis. I bei profili di dama sono chiaramente ritratti, anche se l'identificazione dei soggetti in casi di opere "in serie" come questi – se non ci sono pezze d'appoggio documentarie – è molto dibattuta. Per esempio tra le ipotesi recenti avevo letto che il terzo ritratto, quello che la nostra amica Elena ci indica come presunto di Anna Maria Sforza, rappresenti Isabella d'Aragona (
qui l'articolo). Sono sempre percorsi un po' complessi, spesso si incappa in analisi dettagliate, altre volte in elucubrazioni.
Che io sappia dei ritratti qui presentati soltanto quello di Bianca Maria Sforza ha della documentazione che ne attesti l'identità.
Veniamo ai due san Sebastiano. Come è capitato di vedere più avanti, per la piena età moderna, può capitare che i committenti di un'opera sacra si facciano raffigurare nelle vesti di santi (la cosa a Firenze è piuttosto diffusa). L'operazione salta subito all'occhio perché invece della consueta idealizzazione delle figure ci ritroviamo con delle fisionomie molto ben definite.
Proprio a causa di quest'ultima osservazione, mi sembra assai improbabile che i due san Sebastiano raffigurino Gian Galeazzo Maria. Quelle che vedo sono due figure sì basate su dei reali e bei giovanetti, ma mi paiono rifuggire da intenti veramente ritrattistici. Inoltre mi sovvengono altre osservazioni: in questo momento a queste latitudini il modello del ritratto è ancora decisamente il nobilitante profilo all'antica; non sono un conoscitore dei due artisti, ma entrambi i dipinti mi sembrano opere di alta qualità da ascrivere alla fase matura, soprattutto il Boltraffio del Pushkin (ho fatto una rapida ricerca e ho trovato
una bella scheda sull'opera: lo datano alla fine degli anni Novanta del Quattrocento. Il nostro "duchino" aveva già bell'e che superato la fanciulezza). Essendo Giovanni Ambrogio più anziano, può darsi invece che il suo dipinto (a Cleveland), caschi negli anni Ottanta, quando il duca è effettivamente giovane. Ma non c'è uno straccio di prova che permetta di identificare il soggetto. E, infatti, provando al solito a fare brevi ricerche bibliografiche in rete, non salta un bel niente. Tanto per cambiare, e scusate se aumento la suspence, l'origine di tutto è da trovare sempre nella risposta "tedesco-australiana".
Veniamo, infine, alle belle dame.
Quella del Pollaiolo, insieme alle sue "sorelle", è stata recentemente ospite del Pezzoli per una mostra davvero deliziosa che ho avuto la fortuna di vedere (per quanto in mezzo alla calca). Nessuno s'è azzardato a identificare le sconosciute signore. Tra l'altro: che ci fa una dama distintamente fiorentina alla corte di Milano? La risposta è la solita: "tedesco-australiana".
La Belle Ferronière: come tutte le opere di Leonardo, si porta dietro una pletore infinita di polemiche. In questo caso la domanda «cosa ci fa una dama distintamente milanese alla corte di Francia», però, trova una risposta: si tratta semplicemente di un nome di comodo dato in un inventario del XVIII secolo, quindi chiaramente l'amante di Francesco I non c'entra niente. Non mi sono mai addentrato in questi meandri, ma che io sappia nessuna delle molte ipotesi, tra cui Lucrezia Crivelli ma anche la stessa Gallerani, ha trovato accoglimento. E giustamente Elena ce lo presenta con tutti i dubbi del caso (noto, però, che la foto postata è distintamente una copia: è laccatissima rispetto al caldo sfumato leonardesco).
Finita la rassegna dei ritratti sicuramente erronei e/o particolarmente discussi senza soluzioni, veniamo a questa risposta "tedesco-austrialiana".
C'è una signora, e scusate la franchezza, – e può darsi che arrivi a leggermi qui sopra, visto che l'ho pescata anche su wikipedia a difendere le sue tesi vergognose – una perfetta cialtrona, che si dichiara storica e fa guerra agli storici dell'arte, di nome Maike Vogt-Lüerssen, che da anni scrive una marea di baggianate intorno alla nobiltà italiana del Rinascimento e ai suoi artisti, in particolare di contesto milanese. Il suo prodotto, anzi aborto, più noto è quella sottospecie di romanzo storico che vuole Leonardo da Vinci marito segreto di Isabella d'Aragona, padre dei loro figli (?) e addirittura sepolto a Napoli (!). Tant'è che la Gioconda è un ritratto d'Isabella, così come tutte le tipiche Madonne leonardesche (e di conseguenza, vista la fisionomia tanto dolce ma caratteristica di quel prototipo, tutte le Vergini dipinte dai seguaci di Leonardo). Questa signora, tedesca ma ormai australiana d'azione, non è assolutamente accreditata presso la critica: sul Kubikat compaiono soltanto tre articoli sulla rivista
Medicea (ne ho letto uno ed è un delirio), e le importanti biblioteche tedesche di storia dell'arte che fanno capo a questo prezioso catalogo ben si guardano dal comprare i molti libri della Vogt-Lüerssen. Libri che sono pubblicati "in casa", dal marito (!), che evidentemente è abbastanza benestante da potersi permettere di sprecare carta in queste baggianate (anche se è bene precisare che sono "books on demand": mi domando che vendite facciano).
Sapete qual è il dramma in tutto questo? Che l'utente medio di wikipedia non è in grado (ma non gliene faccio una colpa) di avere il discernimento critico per capire cosa sia sensato e cosa non lo sia (ricordate la bruttissima copia dell'Isabella d'Este modificata in santa Caterina, di recente venuta a galla? Tempo un secondo ed era su wikipedia con attribuzione a Leonardo, perché così scritto su qualche quotidiano). Non ci sono pone minimamente il problema che tutto quello che viene detto e pubblicato (anche da parte di studiosi accreditati, anche in sedi prestigiose: e vi assicuro, di baggianate colossali se ne leggono) possa non essere valido. Banalmente l'attribuzione di un dipinto ha valore laddove la cosa poi venga riconosciuta da gran parte del resto della comunità di studiosi (pensate ai tanto maestri anonimi che hanno un nome di comodo, ricostruiti puramente su base stilistica).
E la Vogt-Lüerssen ha combinato un bel pasticcio, perché avendo creato un
sito internet con una ricchissima (quanto assurda) galleria di ritratti, ha scatenato una vera e propria bulimia su wikimedia commons. Il risultato è che le pagine di tutte le wikipedie internazionali rigurgitano di immagini con identificazioni assolutamente paranormali e francamente non ho idea di come si possa risolvere la cosa, perché ci vorrebbe un lavoro di pulizia assai complesso (non da ultimo convincere gli amministratori che la Vogt-Lüerssen scrive stupidaggini). E ovviamente, tanto per cambiare, il passaggio da wikipedia al web diventa virale: pur riuscendo a bloccare la cosa lì, ormai sul web l'errore è diffuso e visto lo scarso livello del giornalismo non mi meraviglierei di trovare poi l'errore sulle testate ufficiali (e per via del circolo vizioso un possibile ritorno su wikipedia a causa dell'utente ingenuo).
Scusate il lunghissimo intervento e lo sfogo delle 3 del mattino.
La mostra mi hanno detto che è davvero molto bella. Spero di riuscire ad andarci e lo auguro anche a voi. Concludo anche con un altro bel pensiero: come probabilmente saprete, dopo lunghi restauri, ha riaperto la Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza dipinta dagli Zavattari. È forse la cosa più straordinaria che sia mai stata realizzata nel ducato a metà del Quattrocento. Tutte le volte che vedo (riprodotte in foto per ora) quelle immagini di «sogno di larve sontuose» mi sento felice.